IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Non è un dramma, sostiene a gran voce il dg della Roma, Mauro Baldissoni. Per carità, nessun dramma, ha ragione. Si guarda avanti, perché il futuro va conquistato ed è tutto da colorare. Ma non ha certo fatto piacere alla società sapere che l’eliminazione (prevedibile ma tutto sommato anche evitabile) rimediata l’altra sera costerà alla Roma 15 milioni. E sono quei soldi che avrebbero consentito una migliore fluidità di bilancio e magari quei giocatori diversi che Garcia ha invocato nel post gara. Giocatori diversi, sì, che sommati all’esperienza e a un ritorno al calcio che aveva fatto impazzire i tifosi fino a qualche tempo fa, forse in un’altra Champions daranno una mano a superare quantomeno il primo turno, cosa che ai giallorossi è capitata sei volte su otto. Le ragioni di un’eliminazione sono molteplici e non soltanto legate all’aspetto economico. La storia che gli altri sono più ricchi e che quindi diventa normale perdere sempre ha il suo peso, ma fino a un certo punto. Perché allora la Roma a Manchester ha pareggiato e addirittura poteva vincere? Perché all’esordio con il Cska, squadra abituata a stare in Champions, la Roma ha segnato cinque gol, dando pure spettacolo? Quella era una squadra capace di esprimere un calcio migliore, più europeo. Poi? L’involuzione: la prospettiva di gioco è cambiata, si è italianizzata.
IL CALCIO DI ATTESA - La Roma riusciva con il suo calcio a schiantare gli avversari: pressing, possesso palla, equilibrio difensivo, diverse soluzioni offensive, soprattutto personalità. Ora la Roma che vediamo appare timorosa, frenata, si lascia aggredire ed è spesso pronta a fare un passo indietro e giocare sulle ripartenze. Palla a Gervinho e vediamo che succede, più o meno questo. La squadra soffre la fisicità avversaria. La condizione fisica non è brillante. La scusante, i numerosi infortuni e il doppio impegno. La preparazione estiva poi, a detta di molti (giocatori inclusi) è stata un flop: lo stesso Garcia non gradisce il tour in giro per gli States.
LA DIFESA SPARITA - Lo scorso anno, senza l’assillo (piacevole) delle coppe (e con Benatia e Castan in più), la Roma dopo quattordici gare di campionato aveva incassato tre gol. Quest’anno è a quota undici (compresi i tre irregolari dello Stadium a cui si appella Garcia). In Champions De Sanctis (e Skorupski) non è mai uscito con la porta inviolata: quattordici le reti incassate in totale. Sono dodici nelle ultime otto partite, tra campionato e Champions, e sei quelle prese nelle ultime tre partite in casa (Inter, Sassuolo e City). E non è colpa dei nuovi, ma di generale.
RUDI E LE BIG - Ciò che si ripete è l’idiosincrasia tra Garcia e le grandi sfide, al di là del dato che vede il tecnico sempre eliminato nella prima fase della Champions, tre su tre. Come detto, la difficoltà a battere le grandi risale anche alla passata stagione: il tecnico francese ha un ruolino di marcia di una vittoria e cinque sconfitte (con Juve e Napoli, battute invece in coppa Italia). Quest’anno non cambia la musica (sconfitta a Torino, a Napoli, pari a Genova con la Samp, doppio tonfo con il Bayern Monaco, un pari e una sconfitta con il City). E a Lille? Il ruolino con le prime due della classe in Ligue 1 è di tre successi, tre pareggi e undici sconfitte) e in Champions ne ha vinte tre, pareggiate cinque e perse dieci.