LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Oggi sarà tutto diverso. Lo dicono tutti. Devono dirlo. Guardiola continua ad accorciare le distanze fra le due squadre: «Il cappotto di Roma non è la giusta misura per valutare lo spessore dei giallorossi, certi risultati capitano di rado. Stasera per noi sarà dura. La Roma giocherà col cuore, che è l’unica parte del corpo di un calciatore che non si può marcare, né prevedere». La Roma si carica: «La qualità tornerà», sostiene Pjanic. Però è chiaro che non sa quando. Tutti si augurano presto.
«In questo momento dobbiamo contentarci di ciò che abbiamo, inutile nasconderlo », ammette Garcia. Non pensa agli infortunati, Rudi, pensa piuttosto ai sani che non ce la fanno più: «Loro hanno sette giocatori nella lista dei 23 del Pallone d’oro, quindi si può perdere. Ma è vietato perdersi com’è accaduto a Roma. E poi il nostro mini-girone inizierà a Mosca». Sei punti con Cska e City e la Roma si qualifica anche se dovesse uscire sconfitta stasera.
L’ideale sarebbe che proprio la grandezza del Bayern (cui un punto basta per qualificarsi, mentre con tre punti avrebbe la certezza del primo posto) spinga i giallorossi a uscire da quel regno delle ombre in cui dubbi e rimpianti si sono solidificati in pochi giorni, riproducendo nella roccia lavica le sembianze di Tevez, Rocchi, Robben, Higuain. Molti degli abitanti di questo tetro e nuovo mondo hanno un viso stranamente familiare: il viso dei giallorossi non risolti, dei lungodegenti, degli ultratrentenni, degli scartati, dei mai utilizzati, delle promesse non mantenute, degli stanchi da morire. Tutta gente che di colpo è diventata un problema, anzi una serie di problemi. Menzione speciale per Cole, che stasera (ma le possibilità sono scarse) potrebbe tornare a misurarsi con l’uomo che in 45 minuti l’ha costretto a invecchiare di 10 anni (Robben), e per Nainggolan che dopo aver passato due mesi a tirare la carretta ha commesso l’errore (a Napoli) di presumere che per una volta la carretta potesse tirare lui. Lui gioca sicuro. Garcia ha il pallottoliere in una mano e alcuni fogli impiastrati di moduli nell’altra.
Il Bayern è un edema sportivo da rimuovere in nome delle generazioni future: «Eppure io trovo eccezionale che Garcia sia partito con l’idea di giocarsela a viso aperto all’Olimpico. Ha perso ma poteva vincere. Il bello della Roma è il coraggio del suo allenatore», aggiunge Guardiola. Rudi e la Roma ringraziano Pep che forse dimentica di aver dato una formidabile lezione di calcio ai giallorossi. Pep rende omaggio al suo predecessore, il primo scalpello ad aver dato forma all’arte: «Il bel Bayern dell’inizio della stagione scorsa era soprattutto merito di Heynckes. Ora ci stiamo avvicinando alla mia idea di calcio, ma siamo ancora un work in progress». Bontà sua. Dall’altra parte la Roma brancola nei suoi freschi difetti, quell’andare ognuno un po’ per conto suo che in 14 mesi non s’era mai visto, quelle gambe molli, quello smarrimento generale, quel pressing scomparso. Dopo la parentesi (o paresi?) napoletana, Garcia è tentato dal demone della rivoluzione tattica: sarà ancora 4-3-3 o il centrocampo diventerà un rombo con due punte davanti, tipo Gervinho e Totti, libere magari di giocare una dietro l’altra? Florenzi farà il terzino? L’importante è non ritrovarsi ancora una volta crivellati di colpi. «Abbiamo poche chance, ma forse basterebbe una bella partita stasera per farci risalire». Paradossi di Champions. Perdere con dignità potrebbe rialzare l’umore. Si guarisce anche così?