GASPORT (D. STOPPINI) - Metti una mattinata a Bergamo, con la Roma all’università. A spiegare perché la partita di domani non sarà mai attraente come un match di Premier League, se il calcio italiano non cambierà punto di vista sulla vendita dei diritti tv. Perché non c’è nulla di male nel copiare chi le cose riesce a farle meglio. Lo dicono i numeri: la Serie A ricava dal suo prodotto poco meno di 1,4 miliardi di euro a stagione (circa 1,2 per i diritti nazionali, 186 milioni per l’estero), in Inghilterra i club si spartiscono complessivamente 2,8 miliardi l’anno. Con gli stadi sempre pieni. Dov’è l’errore? Ieri la Roma ha provato a spiegarlo: la Serie A è sovraesposta. E un prodotto, quanto più lo commercializzi, tanto meno diventa esclusivo. Legge di mercato ovvia. Ma in Italia nessun club la pensa così. La Roma è all’opposizione. Poi c’è la Juventus che a parole segue a ruota, salvo spesso defilarsi. Il resto è maggioranza compatta, dietro il polipo Infront e una Lega che segue altre vie.
STADI PIENI - Vallo a dire a James Pallotta, che potrebbe scrivere un trattato anche sugli sport Usa. In Nba, ad esempio, succede che non tutti i match vanno in diretta tv, almeno prima dei playoff. Si dirà: altro mondo. E allora ecco il modello Premier League. Spiegato da Guido Fienga, head of strategy and media di Trigoria, ieri in un convegno sul tema diritti tv, ospitato dall’università di Bergamo. «In Inghilterra il live riguarda solo il 50% delle partite, secondo alcuni parametri stabiliti (alle squadre viene comunque garantito un numero minimo, ndr). Il restante 50% in tv finisce solo in differita. Risultato? Per seguire la squadra il tifoso va allo stadio, non ha altra scelta. Neppure i top club, big match a parte, hanno la garanzia di vedere trasmessi tutte le loro partite. In Italia non è così. Tutto è in diretta, tutto è in tv. E le tribune restano vuote, anche per questo. Mi spiegate perché da noi un tifoso, in pieno inverno, dovrebbe andare allo stadio per una partita che in tv può godersi per 4 euro?». Infatti non ci va. E la conseguenza è naturale: «Una partita con pochi spettatori è un prodotto non valido, che non rende. Come pure la visione di uno stadio poco illuminato o di un terreno ridotto male: la Bundesliga qui è l’esempio perfetto. Il guaio è che da noi non si pensa a valorizzare il prodotto. Si pensa solo a venderlo».
SOLDI - Infront ha chiuso un accordo (nazionale) per il triennio 20152018 in aumento del 20%. «Apparentemente, non ci sarebbe da lamentarsi — aggiunge Fienga —. Eppure il confronto con la Premier ci fa pensare in maniera diversa. C’è un problema di metodo. Un diritto è tale se è scarso ed esclusivo. Abbiamo visto che non è scarso. Ma non è neppure esclusivo. Perché in Italia ci sono due operatori (Sky e Mediaset, ndr) che nei fatti vendono lo stesso prodotto, si sovrappongono. L’Antitrust lo considera un vantaggio, per noi non è così. La Premier invece divide il campionato in pacchetti: il monday night a una piattaforma, le partite del sabato a un’altra (Sky e British Telecom, ndr). C’è un’asta reale, una concorrenza vera. Da noi i due operatori hanno un solo modo per farsi concorrenza: abbassare il prezzo della partita, che mediamente costa al tifoso 3,50 euro, al massimo 4. Col risultato di svalutare il prodotto». Strategia che paga solo a breve termine: «La Lega ha sempre ragionato sul fatto che le piattaforme a cui si rivolge sono “costrette” a comprare il prodotto calcio. Ma cosa accadrebbe, se una delle due dovesse saltare per aria? Il modello è altrove, dove pensano a valorizzare se stessi. La Premier sfiora i 3 miliardi l’anno. Poi non ci lamentiamo se hanno tornei più competitivi. I risultati in Europa si vedono. E la Roma lo sa bene... ». Il 71 del Bayern è ancora fresco.