Era stato il primo e forse l’unico tifoso in vista bianconero a manifestare il suo disagio per gli errori dell’arbitro Rocchi d Juventus-Roma, domenica sera. Marco Travaglio, giornalista de Il Fatto Quotidiano, ha chiamato in causa «la Juve di Moggi», ha detto a chiare note di «provare vergogna». E ieri ci è tornato sopra, replicando alle parole dell'ex dg bianconero. «Sono stato il primo a pubblicare le intercettazioni di Calciopoli su Repubblica, con cui collaboravo allora, e che sono felice di aver contribuito alla sua dipartita dal calcio. Per spiegargli che non può permettersi di definirmi uno pseudo juventino, visto che io tifavo Juve nel 1972, quando lui faceva l’osservatore - ed era un buonissimo osservatore, bisogna dirlo - e poi lavorava con la Roma, con la Lazio, con il Napoli, si arrabattava senza riuscirci, per lavorare all’Inter e al Milan. Oppure finiva invischiato nelle storie di prostituzione legate al Torino di Borsano».
«Non mi piace il fatto che si sia perso lo stile Juve per tornare a qualcosa di molto simile allo stile Moggi - prosegue Travaglio - tre favori così, tutti in fila, riportano per forza a quell’epoca lì. E non mi piace. Mi piace lo scudetto dell’anno scorso, strameritato. Cobolli Gigli e Blanc avevano fatto un gran lavoro per far dimenticare la Juve di Moggi: hanno accettato una sentenza che per essere adeguata, per la verità, avrebbe dovuto portare in B Milan, Lazio e Fiorentina, con la Juve in C. Alla fine si scelse il male minore. Domenica siamo arretrati di vent’anni». E sull'arbitraggio di Rocchi: «Un sistema dietro agli errori? No, mi è parso servilismo. La Fiat non esprime il potere di una volta e così la Juve. Prova ne sia che Juve e Roma si sono persino alleate contro l’espressione del vertice della Federcalcio che definirei indecente. Quando la Fiat era potere vero, Boniperti andava via a fine primo tempo dagli stadi e Agnelli non commentava gli arbitri: c’era la consapevolezza di uno sorta di soggezione esterna, c’era... pudore. Ecco, domenica non si sarebbe dovuto commentare nel modo in cui si è fatto. Ad Andrea Agnelli e alla sua signora consiglierei di andare a vedere immagini dell’avvocato e di Umberto per capire cosa fosse lo stile Agnelli che non c’è più».
Travaglio poi conclude sulle parole di Totti e le polemiche risposte sui social network al capitano giallorosso: «Certi tweet dei calciatori non si commentano: non ci sono più teste come Falcao o Platini. E Totti ha le spalle larghe, ha detto quello che pensava dopo aver giocato una partita che non meritava di perdere in quel modo».
(corsport)