GASPORT (D. STOPPINI) - Campo Tavecchio, oggi molto più che campo Testaccio. Dodici gennaio 1930, la Juventus è la prima squadra a violare la casa della Roma: 2-3, di fronte a un arbitro — Albino Carraro — che qualche anno dopo sarebbe diventato allenatore dell’Inter. Un’epoca postmoderna, a questo nessuno è davvero abituato, oggi al massimo un ex arbitro può diventare presidente. Quella è la data in cui nasce la rivalità tra due mondi diversi, due parallele che ora — strano, ma tremendamente comprensibile — si toccano. Nel nome di... Campo Tavecchio, di un presidente federale poco stimato (eufemismo) e di una battaglia per i diritti tv in cui c’è da discutere (anche qui, eufemismo) con i differenti punti di vista di Lotito e Galliani. Roma e Juve avversarie in campo e sul mercato, alleate nella politica sportiva, fin da quando Agnelli e Pallotta pranzarono — ottobre 2013 — insieme per scambiarsi idee (anche) sulla Serie A che sarebbe stata e sulla gestione di un impianto di proprietà.
Quel caffé Un pranzo ben diverso da quel caffé in Campidoglio dell’estate 2004, organizzato da Walter Veltroni, con Antonio Giraudo a preparare le tazzine e Rosella Sensi a chiedere «quanto zucchero?». Quel giorno c’era molto più dell’affare Emerson in ballo. Fu l’unico altro punto di contatto tra i due club. Ma non era — com’è invece oggi — una scelta, perché le forze erano impari, un club faceva la voce grossa e l’altro era di fatto «costretto» a sedersi a un tavolino che Franco Sensi avrebbe rifiutato solo di immaginare. E i tifosi giallorossi con lui, quei tifosi che nel Roma- Juventus successivo esposero lo striscione: «In campo 22 gobbi». Perché lo scontro è sempre stato a 360 gradi. È stato il righello rispedito da Viola a Boniperti. È stato il lupo che morde Brio all’Olimpico. È stato Campo Testaccio. Oggi è uno scudetto conteso: piatto forte sì, ma senza contorno.