IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - L’avventura in giallorosso di Pep Guardiola, oggi allenatore del Bayern Monaco, cominciò un anno esatto dopo la vittoria del terzo scudetto della Roma. La sera del 17 giugno del 2002, Pep sbarcò a Fiumicino, accompagnato dal suo agente Jose Maria Orobitg e dal suo fisioterapista (era reduce da un intervento al ginocchio) carico di tante belle intenzioni. Ad attenderlo, a Trigoria, il dg Fabrizio Lucchesi e Franco Baldini, allora semplice “consulente di mercato” del presidente Franco Sensi, per mettere nero su bianco sul contratto che lo avrebbe legato alla Roma. Un contratto subordinato alle visite mediche («Se non stessi al cento per cento non sarei qui...», disse subito lo spagnolo) effettuate sia dal prof. Pierpaolo Mariani sia all’Acquacetosa, visto che Guardiola aveva alle spalle un brutta storia di doping legata ai tempi del Brescia, rivelatasi con gli anni un’autentica bufala. Meno di un mese dopo, giovedì 4 luglio, prima della partenza per il ritiro di Kapfenberg agli ordini di Fabio Capello (che voleva a tutti i costi Edgar Davids), Pep venne presentato alla stampa da Sensi con altri tre neoacquisti, Bombardini, Sartor e Dellas. Foto di gruppo, sorrisi. «Vorrei la maglia numero 10, ma so che qui alla Roma è del signor Francesco Totti e allora non la chiedo neppure...», spiegò, sorridendo, ai cronisti. «Sono orgoglioso di poter giocare al fianco di un campione come lui», aggiunse.
«VORREI LA 10...» - In realtà, Guardiola con Totti ha giocato poco e niente, nonostante il giudizio lusinghiero che, al momento del suo acquisto, era stato espresso sul suo conto da Carlo Mazzone, che lo aveva allenato a Brescia. «Io, non posso negarlo, gli ho dato una bella spinta a scegliere la capitale... Quando venni a sapere che avrebbe lasciato Brescia, gli parlai e gli dissi queste parole: ah, Pe’ me devi fa un favore. Se proprio non puoi restare a Brescia, e ti capisco, devi andare alla Roma. Perché la Roma è la squadra per te. Guardiola è un giocatore abituato alle grandi platee e l’Olimpico è lo stadio su misura per lui. Lo ripeto, non potete immaginare quanto sia forte. All’Olimpico vedrete un altro Di Bartolomei. Cioè, un giocatore veloce di pensiero e di battuta. Non fatevi ingannare: Peppe non è lento. E’ un falso lento, se mai», le parole del Sor Magara. Complessivamente, però, Pep ha giocato soltanto sei volte con la maglia della Roma, 4 in campionato, una in Champions League e una in Coppa Italia. E solo due volte - in campionato - è stato titolare. Un’avventura che non ha lasciato particolari tracce, se non in alcuni giovani, tipo Daniele De Rossi, che per mesi si è potuto allenare con un giocatore del calibro del catalano. Bloccato nell’accesso alla prima squadra da Emerson, autentico pupillo di Capello, e poi pure da Olivier Dacourt.
L’AMICO OLIMPICO - L’Olimpico, insomma, non è stato certamente il suo stadio, ma è lo stadio in cui il 27 maggio del 2009, Pep ha alzato al cielo la Coppa dalle Grandi Orecchie conquistata alla guida del Barcellona contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo. Domani sera sarà di nuovo alle pendici di Monte Mario, e per la prima volta contro la Roma. Che avrà in campo Totti e De Rossi, gli unici suoi compagni dodici anni fa ancora in giallorosso. Ma se avesse accettato l’offerta di Baldini, estate 2011 (era in stand by il suo rinnovo con il Barça), e se non avesse indirizzato l’allora dg giallorosso verso l’amico Luis Enrique, del Pep romano oggi si racconterebbero tante altre (belle) cose. Forse...
Mimmo Ferretti