IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Uno, due, tre e quattro. In trenta minuti di gioco. Anzi, di dominio assoluto del Bayern campione di Germania. Prima Robben, poi Goetze, quindi Lewandowski e poi ancora Robben, in attesa del calcio di rigore di Mueller a dieci dalla fine del tempo, con la difesa della Roma letteralmente spiazzata, ipnotizzata di fronte a tanta classe e potenza. Una cinquina che ha messo tremendamente le cose in chiaro, e che ha (ovviamente) chiuso la partita: i tedeschi sono di un altro pianeta, anche per la Roma vice campione d’Italia. Anche per una squadra, quella di Rudi Garcia, che da oltre un anno sta facendo bene, molto bene in campo nazionale.
Non è un caso, perciò, che il calcio tedesco sia campione del mondo e quello italiano alla frutta o giù di lì. Come sa bene il ct Antonio Conte, in tribuna all’Olimpico al fianco di Carlo Tavecchio, il suo presidente. C’era da verificare il valore della Roma a certi livelli, cioè contro una delle tre squadre più forti al mondo, e il responso dell’appuntamento è stato impietoso. E, per certi versi, incredibile, considerata la tenuta che i giallorossi hanno mostrato in fase difensiva da quando c’è Rudi in panchina. Una mazzata che non era nell’aria, anche se nessuno, società, squadra e tifosi, pensava a una passeggiata o cose simili.
VENTINOVE ANNI DOPO Già, i tifosi che prima hanno riempito lo stadio Olimpico come non accadeva da anni (quasi 63 mila i paganti al botteghino), colorandolo e riscaldandolo, e poi non hanno mai smesso di cantare, di incitare la squadra. Neppure dopo la quinta rete beccata in meno di un tempo. Roma strapazzata, ma non in curva dove l’amore va al di là del risultato, dove la passione non tiene conto della differenza-reti, dove nulla conta più della maglia. Cantare e incitare la Roma al di là di tutto e tutti. Qualcosa già visto, alle pendici di Monte Mario, e sempre con il Bayern nelle vesti di avversario: 20 marzo del 1985, Coppa delle Coppe, Roma battuta ed eliminata dai bavaresi. Era la fine di un ciclo, di un grande ciclo e la Sud, intonando uno struggente Che sarà sarà, fece capire al mondo che la vita andava avanti, che la bandiera era e restava sempre alta. Si trattava soltanto di prendere atto della realtà e ricominciare, ripartire.
La Roma di Rudi è, di fatto, all’inizio di un ciclo, ha ancora tanta strada da percorrere ma l’atteggiamento della gente romanista, ieri, è stato simile a quello di 29 anni fa: in alto i cuori e fuori la voce, noi siamo la Roma. Ecco perché, al rientro in campo dopo l’intervallo, per De Rossi e compagni sono scattati applausi, non fischi. Ecco perché il gol di Gervinho è stato accompagnato da un boato da zeroazero. Ecco perché, alla fine, cioè dopo il segnale di chiusura dello svedese Eriksson, con i gol sul groppone che intanto erano diventati sette, la Sud cantava Noi non ti lasceremo mai, invitando la squadra a recarsi sotto la Curva. Vinceremo, vinceremo il tricolor il coro, fortissimo, dei tifosi. E la Roma tramortita, guardando in faccia la propria gente, applaudiva. Applausi anche dei tifosi tedeschi ai rivali giallorossi.