IL TEMPO (A. AUSTINI) - «It’s time to draw the line». Tradotto: mettiamoci un punto. Nel dibattito infuocato sull’arbitraggio di Juventus-Roma irrompe James Pallotta. Chi si aspettava un’altra dura presa di posizione contro il «sistema Juve», come lo definì Morgan De Sanctis, è rimasto deluso. Il presidente lancia invece un messaggio distensivo, condiviso dai dirigenti che vivono la quotidianità a Trigoria e che lunedì hanno preferito non raccogliere gli inviti delle trasmissioni di Rai e Mediaset dove erano presenti Marotta e Nedved. «Dovremmo fare tutti un respiro profondo e calmarci un po’. Il calcio è un gioco che va a mille all’ora - spiega il numero 1 giallorosso - e a volte emergono errori e controversie: questo è un discorso valido per tutti». Insomma, l’arbitro Rocchi può sbagliare come tutti gli uomini. E non lo ha fatto in malafede. Chissà se Pallotta lo pensi davvero, ma ritiene giusto dirlo, perché è questo l’unico modo per ripartire e non concedere alibi alla squadra.
Questione di mentalità e di una visione distaccata dei fatti. La Roma si sente forte e più «brava» della Juve, visto che con un terzo del fatturato è riuscita a costruire una squadra dello stesso livello tecnico. Percui - è il ragionamento del club - basta proseguire sulla nostra strada e alla fine i risultati ci daranno ragione. «In fondo - aggiunge Pallotta riferendosi alla Juve - siamo due grandi squadre e ci avviamo verso una rivalità che durerà a lungo: questo non può che essere un bene per il calcio italiano. Saremo sempre orgogliosi della nostra squadra. Amiamo il nostro spirito. Torneremo presto e lotteremo sempre per arrivare in alto. Cominciate ad abituarvi». Aspettando il nuovo intervento di Pallotta da Londra oggi a margine del convegno Leaders in Football (dove non è previsto un incontro con Agnelli), se gran parte dell’Italia pallonara applaude il suo tentativo di smorzare i toni, la Capitale si spacca. Prevedibile, visto che la stragrande maggioranza dei romanisti si sente meglio rappresentata dallo sfogo di Totti nel post-partita. «Finché c’è la Juve arriveremo sempre secondi» è l’amara considerazione di un campione che sogna di chiudere la carriera con un altro scudetto ma domenica scorsa si è accorto che ben poco è cambiato dai suoi inizi. A fine partita non ce l’ha fatta a tenersi dentro il disgusto accumulato negli anni e non solo in quei 90 minuti. A breve dovrebbe toccargli la convocazione del procuratore federale Palazzi, pronto a deferirlo per aver messo in discussione la regolarità del campionato. Per adesso Totti ha deciso di non replicare alla frecciata di Nedved, ma non è escluso che lo farà più in là. La Roma, intanto, ha presentato preavviso di reclamo per i due turni di stop inflitti a Manolas ma non è affatto convinta di poter ottenere uno sconto quindi potrebbe fermarsi qui.
Chi ha avuto modo di parlare con il capitano dopo la partita lo descrive tramortito, sfiduciato. La possibile rassegnazione della squadra è il mostro contro cui deve adesso combattere Rudi Garcia. Lui che per primo ancora non si capacita dell’arbitraggio di Rocchi e si chiede se l’Italia sia il posto giusto per centrare i suoi obiettivi professionali. Il tecnico ha tenuto una breve riunione prima dell’allenamento con i pochi presenti: a parte i nazionali, erano assenti De Sanctis e Maicon entrambi in permesso. «Dobbiamo ripartire e abbiamo l’obbligo di provare a vincerle tutte - la sintesi del discorso di Garcia - facciamo il massimo senza pensare a quello che non dipende da noi». Concetto che sarà ribadito quando il gruppo tornerà al completo. Garcia aveva già analizzato la gara in video lunedì con Sabatini e Baldissoni. La prestazione di Torino ha rafforzato le convinzioni di allenatore e società: la Roma è cresciuta sia a livello tecnico che di personalità. Basterà per vincere? Pallotta è convinto di sì, Totti non sembra più così sicuro.