LA REPUBBLICA (N. LOMBARDOZZI) - Avviso ai tifosi uomini: se per mercoledì sera allo stadio Olimpico di Roma, avete sperato di godervi lo spettacolo delle “cheerleader più sexy del mondo”, dimenticatevelo e concentratevi sulla partita. A differenza delle loro colleghe della sezione basket, le strepitose ragazze del Cska calcio non si esibiscono in trasferta. Fuori casa preferiscono lasciare la scena alle facce cattive e ai cori minacciosi dei supporter di ben dieci gruppi organizzati resi celebri da nefandezze, violenze e intemperanze razziste di ogni genere. Per il debutto in Champions League caleranno in massa, in diverse migliaia. Alcuni sono già arrivati da venerdì e si aggirano travestiti da pacifici bagnanti di fine stagione per le spiagge di Rimini o della Costa Smeralda. Merito delle agenzie di viaggi moscovite che hanno smaltito gli ultimi pacchetti invenduti abbinando la passione per il calcio all’atavica attrazione russa per tutto ciò che è italiano.
Ostili ma non troppo dunque, anche perché sono fermamente convinti, come scrivono sui loro siti specializzati che la Roma sia il meno pericoloso dei loro avversari. Covano rivincite contro il Manchester City e il Bayern Monaco che li eliminarono l’anno scorso in un girone quasi fotocopia. Snobbano invece i giallorossi che, tra l’altro, «sono gli unici tra i quattro sfidanti a non essere campioni in carica nel proprio campionato». Sicurezza che potrebbe tornare utile a Garcia e che non si basa poi su grandi considerazioni tecniche. Nel campionato russo, cominciato assai prima del nostro, il Cska è secondo ma in sette partite ha già preso sei punti di distacco dallo Zenit di San Pietroburgo, orfano di Spalletti, che viaggia a punteggio pieno. E in più non riesce a sganciarsi dagli odiati rivali dello Spartak di Mosca (secondi anche loro) che sembrano più in palla e sicuramente più divertenti da vedere. Anche venerdì scorso sullo sgangherato campo dell’Arsenal di Tula, per vincere una partita sorprendentemente diventata difficile, c’è voluto un gol da lontanissimo del finlandese Eremenko, noto in Italia per una stagione mediocre vissuta tra Siena e Udinese.
Ma i tifosi del Cska sono fatti così. Non a caso tutti i rivali li chiamano “cavalli arroganti” prendendoli in giro per quel loro innato senso di superiorità non sempre giustificato dai fatti. Il motivo, probabilmente, è nella stessa storia del club. Punta di diamante del gruppo polisportivo dell’esercito sovietico, il Cska ha sempre goduto di favori non solo arbitrali, e di una propaganda politica spudorata che l’ha sempre presentata come un vanto dello sport nazionale anche quando raccoglieva risultati mediocri. Svendute agli amici di turno a prezzi e condizioni tuttora misteriosi, le società calcistiche sovietiche sono ora in mano a oligarchi più o meno discussi. Ma le abitudini e le tradizioni del tifo sono dure a morire. E così se lo Spartak resta la più amata dai liberali perché un tempo squadra dei sindacati; se la Dinamo è vista con ribrezzo da molti ed esaltata da altri in quanto squadra della polizia; se la Lokomotiv è amata dai ferrovieri o chi ha passione per i treni; succede che la massa dei tifosi del Cska siano i più legati all’epopea dell’Armata Rossa e ai sentimenti patriottici che in questi tempi di crisi internazionale stanno riprendendo sempre più forza. E l’arroganza di un tempo viene accentuata dai nuovi tifosi d’occasione come i vertici dei servizi segreti o i giovani “nascisti” dei movimenti finanziati per la propaganda personale di Putin.
A rendere ancora più sicuri di sé i “Koni” (cavalli) c’è poi la voce mai smentita ufficialmente che ad aiutare economicamente il loro presidente, l’oscuro e in odor di mafia Evgenij Ghinner, ci sia nientemeno che Roman Abramovich, fedelissimo del Cremlino e proprietario del Chelsea. Quanto basta per farli sentire parte del gotha del calcio internazionale pur non avendo oltre confine un palmares particolarmente degno di nota. Ma spocchia e sicurezza non bastano per vincere. I problemi ci sono eccome. A cominciare dal portiere, Igor Akinfeev che potrebbe riservare sorprese. Le sue papere clamorose contro la Corea del Sud ai mondiali brasiliani sono ancora un incubo per Capello che deve a lui il crollo dell’immenso prestigio iniziale di allenatore della nazionale. Incerto e fuori forma appare un altro beniamino, Alan Dzagoev, scampato per miracolo alla strage terroristica della scuola di Beslan nel 2004 e amatissimo dai Koni. Trequartista con qualche guizzo da fantasista, è da un po’ che non riesce a dare il meglio.
Più giustificate invece le sicurezze russe in difesa dove i gemelli Vassilij e Aleksej Berezutskij, entrambi nazionali, sono rocciosi e pure propositivi a centrocampo. Molti attaccanti dicono sia inquietante riuscire a superare un Berezutskije poi ritrovarsene uno identico qualche metro più avanti. In realtà Vassilij è alto un centimetro in più e ha una frangetta diversa da quella del fratello. Ma sono particolari che in campo possono sfuggire. Il resto è una squadra tosta che punta sull’agonismo e sul fatto che, al ritorno, nella bolgia garantita della piccola Arena Khimki (lo stadio “Luzhniki”, già “Lenin”, è chiuso per restauri in vista dei Mondiali), avrà il vantaggio di giocare su un campo sintetico come si fa da anni in tutta la Russia. Dimenticano, i soliti “arroganti”, che mercoledì toccherà a loro affrontare la Roma su un insidioso campo in erba.