LA REPUBBLICA (E. CURRO') - Albertini, a un mese dalla vittoria di Tavecchio la Figc è un covo di spine. «La mia era una candidatura di alternativa, la democrazia va rispettata. Un mese è poco per giudicare. Non volevo una poltrona tanto per. Guardo dall’esterno. La priorità è il bene del calcio italiano».
Appunto: il neopresidente colleziona gaffe e la sua guida spirituale Lotito fa il padrone della Nazionale. «È questione di comportamenti e di comunicazione. Tavecchio ci ha messo in difficoltà con una figuraccia internazionale. Quanto ai compagni di viaggio, ognuno se li sceglie: ce ne sono di ingombranti e di leali».
Lotito com’è? «Sincero, a differenza di Abodi: il presidente della Lega di B con me è stato inaffidabile. Certo, Lotito è ingombrante. Nessun consigliere federale, in Nazionale, aveva mai creato un caso simile. Io l’avevo prefigurato già due anni fa».
Quando lo superò per un voto nella corsa alla vicepresidenza? «Sì. Dissi che in certi ruoli servono dirigenti super partes, non presidenti di club. Dovrà dimostrare una visione collettiva, non particolare».
Allude alla multiproprietà dei club? «La Lega Pro ha fatto cambiamenti importanti. È un campionato formativo, cruciale. Va aperto alle seconde squadre dei grandi club o alle convezioni, come quella tra Inter e Prato: stimolano la formazione e l’impiego dei giovani più bravi. Invece la multiproprietà è un rischio: si tornerebbe indietro di 20 anni, ai tempi di Gaucci. E si raddoppierebbe la forza elettorale dei grandi club. Alla Lega Pro suggerisco: più poveri ma un po’ più liberi».
Gaucci come Lotito, il cui controllo acclarato è su Lazio in A e Salernitana in Lega Pro. «Dalla Lazio alla Salernitana sono passati 16 calciatori. Nessuno ha fatto il viaggio contrario, ben più naturale: un giovane cresce nella vecchia serie C e finisce in A. Il guaio del calcio italiano è il mercato. Vuole qualche numero?».
Prego. «Mille operazioni nell’ultima sessione, tra A e B: uno sproposito. In Lega Pro ci sono calciatori migliori di certi stranieri che arrivano in A. Eppure qualche club la scorsa stagione aveva l’84% di stranieri. E non è questione di limitarli: in Germania, senza limitazioni, si arriva al 34%. Basterebbe la volontà. Ma evidentemente oggi per i nostri club l’affare non è più vendere, è comprare sul mercato estero e creare rose assurde, di 40 giocatori».
Forse la nuova Figc metterà un tetto: la stanno copiando? «Mi fa piacere che molti punti del mio programma vengano recepiti. Proponevo rose di 25 giocatori, con 10 del vivaio. È più probabile che si tratti di ragazzi nati o cresciuti in Italia, selezionabili per la Nazionale e col senso di appartenenza tipico delle grandi squadre storiche, come Ajax, Milan e Barcellona ».
Conte è preoccupato. «Come Prandelli, Lippi, Donadoni, Sacchi da capo delle Under. A troppi azzurri manca esperienza internazionale. E il campionato si è impoverito, senza Immobile, Verratti, Cerci, Balotelli, Pastore, Sanchez, Borini, Donati, non tutti persi per via dell’ingaggio come Ibra e Thiago Silva. La Nazionale è stata la foglia di fico, all’Europeo e in Confederations, con risultati sproporzionati. Quelli dei club sono in linea con le due eliminazioni al Mondiale».
Il ct è bravo. «Non c’è dubbio. Però il nostro sistema ha accumulato ritardo anche nei confronti di Belgio, Svizzera e Austria. La domanda non è che cosa dobbiamo fare, ma che cosa vogliamo essere. Se il progetto non è sportivo, ma solo politico, si perde il bene più prezioso: la passione degli italiani. Nessuno si dimette mai da tifoso. Però tanti si sentono presi in giro. Gli stadi non si svuotano per caso».