LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Che Carlo Tavecchio, nonostante la figuraccia, abbia conservato una certa maggioranza nelle preferenze per la corsa alla Figc è noto: qualche punto sopra il 51, per alcuni anche oltre il 60. Eppure, ogni scenario è ancora virtualmente aperto, e non può non concorrere ad alimentare la fantasia degli osservatori la dichiarazione del presidente del Coni Malagò, che ieri in un’intervista a “Repubblica” ha ammesso: «Secondo me succederà qualcosa di grosso dopo le elezioni».
Già, ma cosa? «Nessuno vuole fare il presidente con poca capacità rappresentativa», la voce ricorrente negli ambienti istituzionali. E per governare serve una maggioranza qualificata. Quella su cui, con il passare delle ore, non è più certo di poter contare Tavecchio. L’11 agosto l’assemblea elettiva della Federcalcio si riunirà per votare il nuovo presidente e, ad oggi, il numero uno dei dilettanti sa di poter tagliare il traguardo solo in terza convocazione, quando sarà sufficiente una percentuale del 51 per cento per vincere. Ha iniziato ad allargarsi il fronte dei dirigenti orientati a votare scheda bianca, più per il diffuso sentimento di “inadeguatezza” del candidato principe che non per un programma sostanzialmente condiviso (e condivisibile) da tutti. La governance della nuova Figc rischia di diventare l’ostacolo più ingombrante verso la presidenza: per riformare lo statuto serve il 75% dei consensi, e il candidato forte alla corsa osteggiato dalle componenti tecniche che pesano per il 30% non potrà mai contare su quella soglia.
Strade possibili? L’esercizio di pressioni su Tavecchio — e su chi lo sostiene — per non lasciare il calcio in balia di un sistema ingovernabile sprecando l’ennesima occasione di rinnovamento. E convincerlo a ritirarsi, spianando la strada a un commissariamento lampo: i tempi per gli adempimenti tecnici sarebbero strettissimi, il commissario deve essere votato dalla giunta del Coni, da convocare entro 2 giorni, e il periodo dell’anno non agevola di certo. Eppure già circolano indiscrezioni sulla squadra cui avrebbe pensato Malagò, in caso di necessità, con il segretario generale del Coni Roberto Fabbricini, Giulio Napolitano e Michele Uva pronti a scendere in campo. Ma la “sorpresa” potrebbe arrivare anche da un inatteso deferimento da parte della procura federale per la famosa frase su Optì Pobà, in ragione della violazione dell’articolo 11 del codice di giustizia sportiva: «Rischiamo che il futuro presidente federale debba, come primo atto, dare mandato a un avvocato per difendersi dall’accusa di comportamenti discriminatori che la Procura potrebbe muovergli ad horas», ricorda il coordinatore nazionale del dipartimento sport del Pd, Luca Di Bartolomei, sul proprio blog. Rischio reale solo se la Procura federale si ridestasse dal torpore in cui è caduta negli ultimi anni