IL MESSAGGERO (C. SANTI) - È accerchiato ma non si arrende. Carlo Tavecchio continua a ricevere attestati di non gradimento ma non si scoraggia: continua la sua marcia, che è a ostacoli, verso via Allegri. Preso di mira non solo in Italia, il candidato presidente subisce attacchi anche dalle istituzioni internazionali: ieri è stata la volta dell’Uefa. Domani, quando andrà al Coni per incontrare Malagò - che parlerà anche, ma in un altro momento della giornata, con Demetrio Albertini - la sua posizione sarà molto debole. Il capo dello sport italiano non ha alcun potere per chiedere a un candidato di farsi da parte; potrà solo ricordargli le difficoltà che avrebbe dovendo governarne una Federazione come quella del calcio con tanta ostilità intorno. Una sorta di scoraggiamento. Un eventuale passo indietro di Tavecchio non aprirebbe automaticamente però le porte ad Albertini che non ha una base solida di voti sui quali contare e per essere eletto necessiterà del 50% dei voti più uno.
Il fronte dei no contro Tavecchio presidente per quanto riguarda la serie A non è ancora enorme. A Roma, Juventus e Fiorentina ieri si è aggiunto solo il Sassuolo e questo gli permette di mantenere viva la possibilità di essere eletto. Certo, se nei prossimi giorni qualche grande (da capire la posizione attuale dell’Inter) dovesse cambiare idea, la sicurezza del ragionier Tavecchio si incrinerebbe. Il governo non è intervenuto, nessuna posizione è stata presa. Il premier Renzi qualche giorno fa ha parlato di autogol per la frase delle banane ma ha aggiunto che non vuole entrare nella sfera dell’autonomia delle Federazioni. Ieri, il presidente del Consiglio non ha voluto dire nulla sulla vicenda. «Chiedetemi della scherma - ha detto Renzi dopo la premiazione dei campioni del mondo di quello sport - ma non dico nulla del Senato e del calcio. Mi sento rappresentato da quello che dirà Malagò». Solo un’uscita di scena volontaria (o consigliata) di Tavecchio aprirebbe uno scenario diverso. Parliamo di un possibile commissariamento della Figc che consentirebbe, prima di andare a nuove elezioni, di varare una riforma complessiva. A ricoprire il ruolo di commissario sarebbe lo stesso Malagò con Giulio Napolitano nelle vesti di vice. Un commissario potrebbe arrivare anche con Tavecchio eletto qualora il Coni ravvisasse gravi disfunzioni nella gestione della Figc. Malagò, dicevamo. È lui, il numero 1 dello sport italiano, che ha il compito di indirizzare una campagna elettorale che dovrà consegnare il pianeta calcio a Tavecchio o Albertini in un momento delicatissimo. Il calcio necessita di una riforma globale per ripartire sul piano sportivo ma anche su quello organizzativo.
INTERVIENE L’UEFA - Tavecchio è al centro delle critiche e delle contestazioni. Dopo la Fifa, che ha chiesto chiarimenti sulla sua frase delle banane, ieri è stata l’Uefa ad attaccare. La Confederazione europea guidata da Platini ha ricordato che «tutte le Federazioni associate hanno sottoscritto la risoluzione Europea Football United Against Racism con la quale sono impegnate a raddoppiare i loro sforzi per eliminare il razzismo dal calcio». A Nyon non sono piaciute le parole di Tavecchio ma in fondo quelle sono, ai fini della presidenza della Figc, un fatto quasi secondario. Si badi: nessuna giustificazione, sono gravissime quelle parole perché un dirigente non dovrebbe neppure pensarle, ma non per questo si deve affermare che Tavecchio sia un razzista. La questione principale è l’inadeguatezza del dirigente per guidare il calcio che ha bisogno di riforme e di una visione moderna per la sua gestione.
«TUTTI IN SERIE A» - Due giorni fa Tavecchio, illustrando un punto del suo programma, ha detto che vuole creare dei centri federali nelle regioni «dove permettere a un bacino di 700 mila ragazzi di puntare alla serie A». Un messaggio sbagliato perché il fine dello sport non è vincere ad ogni costo quanto, invece, divertirsi. Se questo è il futuro del calcio... Non dimentichiamo poi che Tavecchio, attuale vice presidente della Figc, lunedì ha colloquiato a una radio con un sia pure finto (ma non lo sapeva) Luciano Moggi, dirigente radiato. Non è certo il massimo del buon senso per chi ha l’ambizione di dirigere la Federazione.