LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Qualcuno l’ha voluta vedere come la prova generale prima del ritorno in Europa. Così fosse, i primi 90 minuti della tournée americana della Roma dicono che, sì, Totti e compagni sono pronti a tornare da protagonisti nel salotto buono del calcio Mondiale. Spinti da una febbre salita in una notte di luglio: una febbre da scudetto che nessuno prova nemmeno a nascondere.
E non certo per la vittoria 1-0 sul Liverpool consumata mercoledì notte sul diamante da baseball del Fenway Park, adattato per l’occasione al football europeo, arrivata grazie a un’autorete di Agger procurata da Borriello, centravanti in esubero, in mezzo a uno stuolo di ragazzi della Primavera. In attesa del verdetto della “Champions d’estate”, la Guinnes Cup contro Manchester (domani alle 22.10), Real e Inter, la Roma americana vive una frenesia da successo iniziata quando Antonio Conte ha spaccato l’estate della serie A ridisegnandone le geometrie con l’abbandono alla panchina della Juventus. Il giorno dopo - raccontano le cronache di Trigoria - Garcia e un gruppetto di tre-quattro giocatori seduti sui divanetti nel bar del centro sportivo rivedevano sui telefonini il video messaggio di commiato del rivale. Finché uno dei calciatori non ha rotto il silenzio con una riflessione rivolta all’allenatore: «Mister, adesso tocca a noi». L’idea è la stessa che, violando i dogmi di una piazza papalina ma dalla scaramanzia quasi pagana, promuoveva già il 31 maggio il direttore sportivo Sabatini, imitato tre giorni fa da Garcia: «Vogliamo vincere lo scudetto ».
Altro che il nostalgico «non succede ma se succede» in cui si alludeva all’obiettivo senza mai nominarlo. Troppo ghiotta l’occasione, per non fare di tutto per sfruttarla, anche a costo di rivedere i piani di spesa. Primo effetto, un’enfasi quasi bulimica sul mercato, come a voler condensare gli sforzi in un’unica annata pur di centrare il risultato che manca dal 2001. Lo sgarbo Iturbe alla Juve - per la verità impostato già nei giorni precedenti alla definizione del colpo - è stato la reazione a caldo, quando la separazione allenatore- squadra a Torino era fresca di una manciata di ore: 22 milioni, qualche altro sparso per agenti e fondi titolari di abbondanti percentuali del cartellino, non certo briciole.
Ma a Trigoria non si sono accontentati di far infuriare la dirigenza campione d’Italia: l’allenatore francese non ha fatto nemmeno in tempo a ricordare (e ricordarsi) che alla Roma mancava un difensore centrale per completare l’organico che è stato soddisfatto. Così mentre Pallotta brindava insieme ai calciatori nel ristorante di famiglia a Boston, da questa parte dell’Oceano l’onnivoro Sabatini si toglieva lo sfizio di bissare la beffa, scippando dalle mani del suo (ex?) amico Lotito lo stopper cagliaritano Astori: era quasi laziale, giocherà nella Roma e da ieri è anche ufficiale, grazie ai 7 milioni, diluiti tra prestito e riscatto, che i giallorossi verseranno al Cagliari per assicurarselo.
Erano già arrivati Keita, Cole, Emanuelson, Uçan, a giorni dovrebbe aggiungersi anche il belga Ferreira Carrasco, con il Monaco che proprio in queste ore avrebbe dato via libera alla cessione, mentre a gennaio arriverà l’americano Yedlin. L’abbondanza non spaventa la proprietà americana e certo non dispiace a Garcia: già investiti circa 35 milioni, il monte ingaggi è lievitato sforando i 100 milioni a stagione complessivi, e pazienza se il fair play finanziario chiederebbe più attenzione, come specifica il club stesso nel prospetto informativo consegnato in Consob per l’aumento di capitale. C’è tempo a sufficienza da qui al termine del mercato., il 1 settembre, per far cassa con qualche cessione pregiata - Benatia piace al Manchester United, anche Ljajic ha richieste interessanti, soprattutto dalla Germania - ma il momento non è ancora arrivato. Ora la Roma vuole soltanto continuare a sognare.