LA REPUBBLICA (M. PINCI) - La distanza non alleggerisce il disgusto per quella banana. Il discorso dai connotati evidentemente razzisti pronunciato venerdì da Carlo Tavecchio, con cui ha formalizzava la propria candidatura alla presidenza della Federcalcio, è arrivato anche in Brasile. «Una cosa così non si è mai vista, né qui né in Italia: chi parla in questo modo non può essere eletto per nessuna carica». Parole di Juan Silveira dos Santos, oggi difensore dell’Internacional di Porto Alegre, ieri uno dei leader del Brasile. È tra i fondatori del movimento Bom Senso Fc che lotta in patria per un calcio migliore, ma Juan è rimasto a lungo anche in Italia, 5 anni nella Roma con 119 presenze in serie A. E il coraggio di un gesto forte per denunciare un attacco discriminatorio nei suoi confronti: era il 4 marzo 2012 quando durante il suo ultimo derby affrontò la curva laziale che lo bersagliava di ululati razzisti portando l’indice alla bocca, per dire “zitti” a quei tifosi.
Avesse sentito una frase come quella di Tavecchio invece cosa avrebbe detto?
«Che non mi sarei mai aspettato di ascoltare nulla di simile».
Che sensazione prova? Disgusto, rabbia?
«No, dispiacere. Mi dispiace tantissimo, soprattutto per il calcio italiano. Dispiace dover commentare espressioni che offendono tutti. E poi dispiace soprattutto in questo momento in cui si stanno facendo tanti sforzi per l’immagine internazionale del calcio».
Tra l’altro pronunciata durante un discorso di candidatura alla presidenza di una federazione che per punire il razzismo ha chiuso curve, multato le società, minacciato di chiudere gli stadi.
«Appunto. Da fuori sento quelle parole e dico: ecco, già si inizia male. Molto male».
Ma può ancora candidarsi un aspirante presidente dopo un’uscita simile?
«Ma no, certamente. Dopo una frase così non puoi mai essere eletto a capo di un’istituzione, per nessuna carica. E non puoi essere votato da nessuno».
Ma le era mai capitato di sentire un presidente, un candidato, un rappresentante istituzionale esprimersi così?
«Mai, davvero. Anzi sì, una cosa simile l’aveva detta quel presidente di una squadra in Nba...».
Donald Sterling, il proprietario dei Los Angeles Clippers, che in privato si era lasciato andare a frasi discriminatorie degli afroamericani.
«Sì, lui. Negli Usa dopo quella frase razzista lo hanno squalificato a vita e gli hanno imposto di vendere la squadra». In Italia invece la Lega di serie A ha difeso Tavecchio attaccando chi lo avrebbe “strumentalizzato”.
A lei accadde di subire ululati razzisti durante una partita da un gruppo di tifosi rivali: cosa si prova?
«Dispiacere. E trovo incredibile che regolarmente capitino cose per cui si debba tornare a parlarne ».