GASPORT (R. PALOMBO) - Premessa: Andrea Agnelli è il più grande dirigente che il calcio italiano sia stato capace di produrre negli ultimi anni. Dal nuovo stadio della Juventus, «creatura» del suo mentore Antonio Giraudo (senza Calciopoli un dirigente coi fiocchi) in giù, non ha sbagliato nulla. Battendosi sempre, e in Lega troppo spesso invano, per un calcio italiano migliore. Detto questo, tra le tante affermazioni condivisibili di questi ultimi giorni ce ne sono un paio che ci piace tuttavia mettere in discussione. Cannavaro, Vialli, Costacurta nomi buoni per la presidenza della Federcalcio nella scia di due grandi interpreti internazionali come Platini e Rummenigge?
Non sono ancora arrivate le querele da parte del presidente dell’Uefa e di quello dell’Eca (l’associazione dei club europei) e di questo li ringraziamo. La suggestione dell’ex grande calciatore è bellissima ma deve poggiare su basi solide: Platini ha iniziato il suo percorso da dirigente nel ‘92, partecipando all’organizzazione dei mondiali di Francia 1998, è diventato vicepresidente della federazione francese nel 2001 e presidente dell’Uefa nel 2007, dopo quindici anni di gavetta. Percorso quasi analogo per Rummenigge che alla dirigenza del Bayern, al fianco di Beckenbauer, ci sta dal 1991 e a presiedere l’Eca ci è finito nel 2008, diciassette anni dopo. Questo per dire che puoi avere le più valide potenzialità del mondo, puoi avvalerti della squadra più efficiente, ma per diventare presidente di una federcalcio ce ne vuole. Il nome importante (in tal caso, se proprio deve essere, meglio Del Piero) va bene ma non basta.
Il calcio italiano, in materia, ha prodotto fin qui Albertini, che ha cominciato da vicecommisario di Guido Rossi nella terremotata Federcalcio dell’estate 2006. Il solo ex, per essere chiari, ad avere acquisito sul campo i «requisiti » insieme a Dino Zoff. Che però di anni ne ha 72. Uno in più del famigerato Tavecchio. Il fatto che l’ex calciatore sia visto male da una parte importante dell’elettorato che l’11 agosto dovrà pronunciarsi poggia inoltre su un’altra questione: la legge Melandri ha giustamente introdotto le figure degli atleti e dei tecnici nei governi delle Federazioni, ma come elemento di contrappeso rispetto al potere dominante delle società, rimasto peraltro tale (70% contro 30%, 68% nel calcio perché il 2% è finito agli arbitri). E l’Italia, con la sua benemerita Aic unica in Europa come peso specifico politico, è il Paese col sindacato più forte, ma che pur sempre sindacato (e dunque controparte) resta. Albertini presidente per molti oggi significa Aic alla guida del calcio italiano. Non facile da digerire. Una seconda convinzione di Agnelli, meno esternata pubblicamente, è che i guai del calcio italiano nascano prevalentemente dalla mala gestione dell’area dilettantistica. E’ lì, secondo il presidente della Juventus, che dovrebbero fiorire i vivai, la nascita e la crescita del calciatore italiano. Su questo, in tutta franchezza, nutriamo qualche perplessità ma senza poterci avvalere di prove inconfutabili. Restiamo semplicemente dell’idea che scuole calcio, settori giovanili e scolastici, cura e crescita del calciatore italiano siano mission che riguardano tutti, a cominciare dalle aree che hanno le maggiori disponibilità finanziarie.
Competono più alla Serie A e meno ai Dilettanti, insomma. E infatti la Juve, più avanti di tutti, ha inventato il suo bel «liceo». Concludiamo con una convinzione. Che la partita Figc debba essere giocata sui programmi. Programmi concreti, s’intende, non parole. Per Palazzo di vetro, quattro priorità: 1. Riforma dei campionati, massimo 76 società professionistiche, meglio ancora 70. 2. Leggi protezionistiche per fermare l’invasione indiscriminata di stranieri (il volgarotto Macalli quando dice che il 90% degli stranieri importati in Italia sono pippe esagera ma non ha tutti i torti). 3. Una legge sullo ius soli, tipo Germania. 4. Dalla serie B in giù, obbligatorio l’utilizzo dei giovani secondo parametri da definire. E’ più facile lo riesca a fare Albertini o Tavecchio? Ai posteri l’ardua sentenza.