GASPORT (A. SCHIANCHI) - Storie di delusioni, disperazione e... pomodori. Eh sì, perché noi italiani, quando le cose vanno male, ci scateniamo e diventiamo improvvisamente... vegetariani. Corriamo all’aeroporto, dopo essere passati dal fruttivendolo, e lì diamo sfogo a tutta la nostra rabbia, insultiamo quelli che fino al giorno prima erano i nostri eroi e li trasformiamo in bersagli. Nessuno, come gli italiani, è tanto bravo a salire sul carro dei vincitori e su quello dei fustigatori. Vedremo come si comporteranno all’atterraggio della truppa Prandelli, ma ci sentiamo di escludere l’ipotesi-applausi.
Mal di denti La delusione azzurra più grande è quella del 1958, unica volta in cui non ci qualifichiamo per il Mondiale. A sbatterci fuori è l’Irlanda del Nord nel freddo gennaio di Belfast. Il c.t. Alfredo Foni si becca critiche, insulti e il conseguente benservito. Ma il problema non è l’inadeguatezza dei nostri giocatori, bensì la tattica: sono tempi in cui ancora si discute se sia meglio difendersi e contrattaccare oppure buttarsi all’assalto del nemico. L’Italia si divide: il partito dei difensivisti trionfa, ma si devono attraversare altri dolori prima di arrivare alle porte della gloria. Quello del 1966 è il momento più basso: eliminati dal Mondiale inglese per mano della sconosciuta Corea del Nord. Il c.t. Edmondo Fabbri costruisce una squadra di «piedi buoni», ci sono Rivera, Bulgarelli e Mazzola, secondo lui tutto dovrebbe funzionare a meraviglia. Ma non ha fatto i conti con le inimicizie all’interno del gruppo azzurro (milanisti contro interisti, bolognesi contro interisti, milanisti contro bolognesi...) e pure con la sfortuna. Nella sfida contro la Corea del Nord s’infortuna Bulgarelli, non esistono le sostituzioni, giochiamo in dieci contro undici, e loro corrono come dannati. Segna l’allievo dentista Pak Doo Ik. E’ una tragedia nazionale. E pensare che Ferruccio Valcareggi, assistente di Fabbri, ha definito i coreani «una banda di Ridolini»... Al ritorno della Nazionale, all’aeroporto di Genova, è una pioggia di pomodori. E quella sconfitta ha conseguenze non piccole: la Federcalcio decide di chiudere le frontiere, niente più stranieri, e così il grande Eusebio che ha già firmato con l’Inter di Angelo Moratti, è costretto a disfare le valigie e a restare in Portogallo.
Veleni e staffette Nel 1970 ci presentiamo al Mondiale da campioni d’Europa in carica. Arriviamo a petto in fuori, ma la pentola azzurra ribolle di tensioni. Le solite. Gli interisti vogliono imporre uomini, schemi e tattica. Il milanista Gianni Rivera è solo e gli tolgono pure lo scudiero prediletto, Giovanni Lodetti, «tagliato» per far posto a un attaccante dopo l’improvviso forfeit di Anastasi. Più che di partite, in quel mondiale, si deve parlare di riunioni segrete, intrighi, polemiche. Rivera sbotta, il c.t. Valcareggi e il dirigente Mandelli cercano la mediazione. Si arriva al compromesso storico, prima ancora che ci abbiano pensato Enrico Berlinguer e Aldo Moro. Rivera fa il secondo tempo e Mazzola il primo. Battiamo la Germania Ovest in semifinale in quella che venne definita la partita del secolo, anche se fu di una bruttura inenarrabile. In finale ci troviamo di fronte il Brasile di Pelé e finisce come deve finire: 4-1 per la Seleçao, noi cotti e mangiati. Però torniamo in Italia con la medaglia d’argento, pensano giocatori, tecnici e dirigenti, ci accoglieranno con la fanfara dei bersaglieri. Errore: a Fiumicino i tifosi si presentano armati di pomodori e la truppa azzurra, per evitare il tiro al bersaglio, è costretta a rifugiarsi in un hangar dell’aeroporto.
La gloria e il crollo Il torneo del 1974 passa alla storia azzurra per il gesto di Chinaglia che manda a quel paese il c.t. Valcareggi, colpevole di averlo sostituito, e per la figuraccia che rimediamo contro la Polonia. Ma quella Polonia è una signora squadra. Fatto sta che, come sempre accade in queste circostanze, l’eliminazione costa il posto a Valcareggi e anche in Federcalcio ci sono profondi cambiamenti. Nel 1978 comincia l’era Bearzot: grandi prestazioni in Argentina, dove avremmo meritato di più del quarto posto finale; esaltazione per il successo in Spagna nel 1982; ma nessuno si accorge, o pochi lo fanno, che quella squadra ha già dato il meglio di sè. Così, intestardendosi sul suo blocco, Bearzot va incontro all’inevitabile crollo. Non ci qualifichiamo per gli Europei del 1984, e veniamo sbattuti fuori dalla Francia nel 1986. Si chiude un’epoca.
Ancora Corea... Superate le delusioni per due mondiali persi ai calci di rigore (1990 in semifinale e 1994 in finale), e metabolizzata senza polemiche l’uscita a Francia ‘98 (sempre ai rigori), gli italiani si riscoprono arrabbiati nel 2002. Si gioca in Corea del Sud e Giappone. In panchina c’è il Trap con la sua boccetta di acqua benedetta. Ma non basta appellarsi al Santissimo contro le malefatte di un arbitro: Byron Moreno, che qualche anno dopo verrà arrestato per traffico internazionale di droga, ci nega un rigore sacrosanto, ci annulla un gol valido e, per completare l’opera, espelle senza ragione Francesco Totti. Così l’Italia torna a casa e la Corea del Sud va avanti. L’ultima delusione riguarda il Mondiale del 2010 in Sudafrica. Siamo campioni del mondo in carica, ma il nostro safari si conclude al primo giro: fuori per mano dell’esordiente Slovacchia. Il c.t. Lippi, che aveva guidato la Nazionale al trionfo di Berlino 2006, lascia tra le polemiche. Anche lui, come prima Bearzot, fu vittima della gratitudine: volle dare un’altra chance a coloro che lo avevano fatto diventare campione, ma le storie belle difficilmente si ripetono.