IL ROMANISTA - Non aveva mai parlato del suo ritiro, Francesco Totti. Non entrando nel merito, per lo meno. Lo ha fatto nella lunga intervista concessa a GQ, che al Capitano ha dedicato una delle quattro copertine del numero speciale dedicato ai Mondiali. Lo ha fatto senza nascondersi: «Il momento di dire basta si avvicina sempre di più, sarà emozionante perché avrò con me tutto l’amore dei tifosi, ma sarà anche terrificante, perché non riesco a immaginare come potrà reagire la gente...». Capita, quando c’è l’amore, che poi in fondo non è mai troppo. I Mondiali in realtà sono solo il pretesto per dare il calcio d’inizio all’intervista. Il resto è Francesco Totti in libertà.
Balotelli?
Credo bisognerebbe lasciarlo tranquillo. Dei Mondiali resteranno i ricordi Il più bello è di sicuro la finale del 2006 a Berlino, il sogno di ogni calciatore. Avevo lavorato tanto per superare l’infortunio e riuscire ad arrivare al Mondiale. Quella finale è stata la chiusura del cerchio.
Un po’ ti diverti a fare il divo senza pallone?
Se la cosa dura poco, sì. Dopo tre o quattro ore è stancante. Con gli spot è peggio, lì me rompo proprio. Ora fai volentieri anche le interviste nel dopo partita: ti scappa il sorriso, la battuta
Dici?
Dipende da chi fa l’intervista. Già sei stanco, ma certi fanno certe domande… inusuali, che non ti aspetti proprio.
Ce n’è una che non ti fa mai nessuno? Qualcosa che i tifosi dovrebbero sapere dopo una partita?
A oggi non c’è pericolo che diventi giornalista. Ma no, mi chiedono sempre di risultato, partita, di come ha giocato la squadra. Mai del perché hai calciato così, o di come hai fatto quel gesto tecnico. Immagina, la squadra ha perso, arriva un calciatore e dice: “Scusate, ma stamattina mi sono svegliato male”. E chi se ne frega! Anzi mi metto dalla parte della gente. Se io rispondessi che mi sono svegliato male, che direbbero? Con tutto quello che guadagni! Ci fossi io al suo posto! Perché la gente ragiona così, non pensa che anche chi ha i soldi o fa una bella vita possa avere dei problemi. I problemi ce li abbiamo tutti. C’è il giorno che ti svegli meglio e quello che ti svegli peggio. O hai litigato con tua moglie, tua madre, con i figli. Succede. Nessuno lo saprà mai. Se ti metti dalla parte dei tifosi, pensi: “È impossibile che Totti c’ha problemi”.
Ma riesci veramente a parlarci con loro?
Quando sono a Trigoria non tanto, perché mi alleno e dopo vado a casa subito. Qualche confronto c’è a inizio anno durante il ritiro in montagna. Sempre di Roma si parla, ma ogni tanto fa piacere avere un dialogo bello con i tifosi perché sono quelli che mandano avanti la baracca.
Quando sei in campo lo senti il pubblico?
Un colpo di tacco dei tuoi è sempre funzionale o è fatto anche per lo spettacolo? Prima di tutto è per la squadra. Poi è normale che se la giocata riesce, sono contento: la posso rifare un’altra volta e, se sbaglio, non succede niente. Certo, giochi anche per far divertire la gente. Ma la gente si diverte quando vinci.
Ti ricordi il momento in cui hai davvero cominciato a sentire il pubblico?
Più ci stai dentro e passano gli anni, più lo senti. Ma senti anche la responsabilità. E capisci anche il modo in cui pensano loro: farsi sentire, impaurire l’avversario. Ti hanno accusato di cadere troppo spesso, di prendertela con l’arbitro.
Anche questo lo fai per il pubblico?
Anche, ma in quel momento non ci penso. Da fuori è facile, sono tutti allenatori: doveva fare così, doveva fare cosà. In campo, se corri e uno ti tocca, è normale che cadi. Se io mi lamento o cado prima di prendere un calcione è solo per difendermi, perché i calciatori del mio genere non sempre vengono tutelati. Però da fuori passi per il cascatore.
Hai mai esagerato?
A volte rivedo le immagini delle partite e mi metto a discutere tra me e me, sembro un matto. Provo a darmi delle spiegazioni. Una parte di me dice: “Era meglio se stavi in piedi, hai esagerato.” L’altra risponde: “L’istinto ha voluto così”. Sei sempre stato un giocatore emotivo, passionale.
È un limite o è una forza?
Una forza, gioco per passione, per divertirmi, perché mi piace. Col pallone ci sono cresciuto e ci morirò. È sempre stato il mio punto debole. Pensa ai tennisti, da una parte Borg e il tuo amico Federer, i freddi. Dall’altra parte i pazzi alla McEnroe. Io scelgo Federer ma con i calciatori è più complicato: sono tutti diversi. È bello perché c’è chi è più matto, chi corre di più, chi di meno, chi è più bravo tecnicamente. Fossimo uguali non sarebbe neanche calcio.
Ma tu sei contento di essere come sei?
Sono contento. E spero sempre che il futuro mi possa riservare qualcos’altro.
La disperazione vera, durante una partita, esiste? L’hai mai provata?
In alcune partite sì. Ma lì entra in gioco il carattere: devi stare calmo, pensare a quello che non devi fare, non lasciarti trascinare dall’istinto. Essere in campo non è lo stesso che tifare da fuori, devi tenere sempre il freno a mano tirato. L’esperienza aiuta? L’esperienza è tutto.Quello che facevi da giovane a un certo punto non lo farai più
Riesci a dare consigli a chi è più giovane di te?
Sì, ma solitamente quelli banali. Poi ognuno è libero di fare quel che vuole.
Hai già pensato a come sarà la tua ultima partita?
Sinceramente no. So che sarà bello, emozionante e vissuto davanti ai tifosi della Roma. Ma sarà anche terrificante. Vorrà dire che sono di fronte alla fine del sogno realizzato, in cui vivo da oltre vent’anni. Non oso neanche immaginare la reazione della gente.
“Smetto”: ecco, è così difficile dirselo?
So che il momento si avvicina, però non c’è mai una fine. E sarò il primo a gettare la spugna.
Sicuro?
Sì, non voglio scendere in campo a fare figuracce.
Insomma, vorresti chiudere in bellezza?
In bellezza fino a un certo punto. Però chiudere. Hai assistito a qualche addio del calcio dei tuoi colleghi? Sì, tanti: Bruno Conti, Giuseppe Giannini… Vincent Candela, mio grande amico, entrò in campo su una biga. Una vera americanata! Tutti momenti bellissimo, con lo stadio pieno. Lì capisci cos’è l’amore per un calciatore. A proposito di amore, tu non diresti mai a un tifoso innamorato di te “Guarda che è soltanto pallone!” Sì, gliel’ho detto. Però loro guardano solo in una direzione. A parte gli scherzi, non mi permetterei mai. Fa piacere vedere le persone innamorate di te, che sia il calciatore o la persona reale. Vuol dire che qualcosa di bello l’hai fatto.
Quali sono le cose più importanti, per la tua vita? La famiglia viene prima di tutto. Quando stai bene lì, riesci a fare tutto il resto. Il pallone a questi livelli ti ha tolto qualcosa? I tifosi a Roma sono passionali. Sono nato qui, vivo qui, la vita privata è difficile gestirla. L’ho detto tante volte: sono vent’anni che non vado a Via del Corso a fare una passeggiata.
Neanche in motorino, con il casco in testa?
Ti riconoscono lo stesso. Guarda, so a cosa vado incontro, perciò evito.
Quindi Roma la frequenti poco, si può dire? Torni mai nel tuo vecchio quartiere?
È vero, non la conosco benissimo Roma. E nel mio vecchio quartiere ci passo solo in macchina, ma non mi fermo mai. Non c’è più nessuno di quelli che ci vivevano quand’ero bambino, e poi succederebbe l’iradiddio. Daniele De Rossi per un po’ è andato a vivere a Campo dè Fiori, in pieno centro antico. Oggi se io vivessi in centro, dovrei andare in giro con l’elicottero. Però, se non avessi fatto il calciatore, probabilmente vivrei ancora nel quartiere dove sono cresciuto.