IL ROMANISTA (D. GALLI) - Adesso è certo. L’ha detto lui. «Lascio il calcio, sento che è arrivato il momento». Javier Zanetti smette, dice addio, saluta l’Inter, saluta tutti. Dal primo secondo del primo minuto della prima partita del prossimo campionato, Francesco Totti sarà l’ultima bandiera della Serie A.
«Sento che è arrivato il momento. Mi sento completo e realizzato - ha spiegato l’ormai quasi ex capitano al giornale argentino "La Nacion" - ritirarsi a quasi 41 anni sentendosi ancora in forma non ha prezzo. Il calcio mi ha dato tantissimo e io mi sono goduto ogni attimo». Cala il sipario sullo Zanetti giocatore, si alza quello sullo Zanetti dirigente (all’Inter), ma questo è un altro discorso. Il terzino s’è stufato di pedalare, ha perso quelle motivazioni fondamentali per un calciatore, quelle senza le quali non arrivi a 41 anni ancora in attività. Quelle che Zanetti non possiede più e che invece possiede Totti, il Peter Pan della Serie A, un fuoriclasse che col calcio ancora si diverte, un campione che a Catania si è sacrificato come se fosse un baby al provino decisivo.
Ritirarsi? Emulare Zanetti? Macché, Totti non ci pensa proprio. Ha un contratto fino al 2016, ha trovato la sua dimensione nel gioco di Garcia, continua a fare gol, accumula presenze che non gli sono dovute per giustizia divina (e ci potrebbe pure stare...) ma per quella terrena: Garcia lo considera un indispensabile, più che un intoccabile. Bella storia, la loro. All’inizio si sono studiati a vicenda. Rudi ha cercato di capire il romano, Totti il francese. Questo splendido esemplare di allenatore sapeva che il rispetto per il Capitano - quello con la c maiuscola - sarebbe stato il passepartout per avere a sua volta rispetto dalla squadra.
All’opposto, questo fu l’errore di Luis Enrique, che sbagliando l’approccio con Totti sbagliò subito parecchio. Altri mondi. C’è un episodio, c’è un aneddoto, c’è un fatto annoverato tra gli scherzi e che invece diceva molto del loro matrimonio, che non è di convenienza: è puro, perché è fatto di Roma. Sono gli auguri a Garcia, che Francesco nella clip di Roma Channel rivolge in un mezzo francese alla Totò. Totti non aveva mai fatto una cosa del genere per nessun allenatore, nemmeno per l’amico Zeman. Totti si sforza di parlare la stessa lingua del suo tecnico come segnale, perché Totti agisce spesso così. Il Capitano parla con i fatti e fatti come gli auguri in francoromano sono una testimonianza. Sono il suggello di una complicità. Ora lassù c’è Totti. Oddio, per i romanisti c’è sempre stato. Ma adesso non resta che lui, l’Highlander.
Il Capitano chiuderà l’epopea delle bandiere, di quegli uomini alla Giggs o alla Gerrard che hanno sposato una squadra. Una squadra soltanto. A 37 anni Totti continua a surfare sulla Roma, guidando i compagni con gli sguardi, con i gesti, con gli atteggiamenti. A 37 anni Totti è sempre il primo a presentarsi a Trigoria, assieme a Lobont e Taddei. Accade ogni giorno, accade alle 8,45. E non importa se poi ci si allena alle 11: Totti sempre alle 8,45 suona (si fa per dire) al cancello. Per un tecnico, per Rudi, questa è una lezione da impartire ai più giovani. Perché Totti è Totti, e c’è Totti e poi niente, niente e poi niente, e qualche benefit ad honorem potrebbe anche averlo. Ma Totti non è così, perché Totti è di più, è molto di più dei 235 gol in 559 presenze in Serie A, che poi sono 290 in 705 assolute. Totti è un modello.
Insegna ai nuovi arrivati che il senso d’appartenenza alla Roma s’acquista col lavoro quotidiano. E Totti insegna anche al mondo esterno. Insegna il rispetto, ma non quello per il proprio allenatore. No, di quello non c’è bisogno, quello è routine, è un fatto noto, Totti ringrazia Garcia in ogni intervista, e l’ultima volta - nell’ultima intervista, quando ci ha messo la faccia dopo un 1-4 - ha voluto rimarcare anche il capolavoro della dirigenza nella campagna acquisti e dell’ambiente romanista nel saper rinascere, restare compatto, per aver contribuito a ricostruire una squadra nata dalle macerie. No, il rispetto che Totti insegna è un altro. È il rispetto per Roma, Capitale ferita dai luoghi comuni.
Il Capitano ha difeso lei, s’è sostituito al Sindaco, ha difeso lei, ha difeso un popolo, ha difeso i romanisti, ha difeso soprattutto la sua Curva dagli assalti dei pressappochisti, di chi ha messo insieme nel frullatore Roma e i romanisti con l’episodio da cronaca nera, ha mischiato una tifoseria intera con un singolo gesto criminale. «Roma non c’entra niente, è accaduto lì - ha detto - solo perché la capitale ha ospitato la finale ma poteva succedere ovunque. Roma è una città pulita e accogliente. Roma è Roma. È la Capitale e va rispettata». Dopo l’addio di Zanetti sul ponte resiste a sventolare una bandiera. E per nostra fortuna non è affatto bianca.