CORSERA (L. VALDISERRI) - Hrasnica, una ventina di minuti dal centro di Sarajevo. Una tribunetta, spogliatoi amatoriali, un solo campo dove allenarsi. Porte aperte. Un fiume di ragazzini con la maglia della Bosnia, in versione molto casual perché qui la vita è dura, la disoccupazione arriva quasi al 50% e la divisa originale è per turisti che si imbattono nella Bascarsjia, la città vecchia, nel punto vendita della federazione. La percentuale delle maglie è 70% Edin Dzeko, 20% Miralem Pjanic e 10% per gli altri, a scelta. I motivi sono tre: 1) tutti sono figli della Bosnia ma Edin Dzeko più di tutti, perché a Sarajevo è nato e cresciuto, giocando per strada anche negli anni della guerra; 2) adora i bambini e ha nei loro confronti una naturalezza straordinaria; 3) a tutti piace fare gol e Edin ne fa più di tutti.
Buongiorno, Dzeko. Arriva la fata turchina, mentre volano le bombe a Sarajevo e sua madre sta con il cuore in gola perché lei è andato a giocare. La fata le dice: tu, un giorno, giocherai il Mondiale al Maracanà di Rio...
«Le avrei risposto: ma vattene via, lasciami giocare con i miei amici. Non era tempo per le favole».
Ma il 15 giugno la Bosnia affronterà l’Argentina nella sua prima partecipazione al Mondiale...
«I sogni esistono, vero? Porterò con me tutti quegli amici, anche quelli che non ci sono più. Guardandomi indietro ho due scelte: pensare di aver buttato via anni di gioia e spensieratezza, quelli che sono dovuti ai bambini e ai ragazzi, oppure pensare che quello che è successo mi ha reso più forte. Ho scelto la seconda strada».
La Bosnia ha mille problemi: è giusto o riduttivo pensare che il calcio possa fare la felicità della gente per almeno due settimane?
«Il calcio non può risolvere problemi tanto grandi, ma può aiutare a non pensare al peggio. La Bosnia ha aspettato così a lungo un’occasione come questa... È un’immagine di speranza, ti dice che a volte i sogni si realizzano. Lo sport, in questo senso, può fare molto. Soprattutto tra i più giovani».
Pjanic dice: le nuove generazioni sono cambiate e penso che tutti nel Paese tiferanno Bosnia, al di là delle etnie diverse. Lo pensa anche lei?
«Lo spero. Ci credo. Anche perché questa squadra ha sempre giocato un bel calcio e, soprattutto, si è sempre impegnata al massimo. Anche quando non ci siamo qualificati, avendo trovato per due volte il Portogallo di Ronaldo negli spareggi, siamo usciti senza avere nulla da rimproverarci».
Nole Djokovic, dopo aver vinto gli Internazionali di Roma, ha segnalato al mondo la gravità delle alluvioni che hanno colpito la sua Serbia ma anche la Bosnia. Un segnale forte.
«È quello che dicevo prima: lo sport può essere un messaggio importante. Positivo. In una situazione come quella, tutti devono aiutarsi». (La nazionale bosniaca, durante un’amichevole contro la under 21, ha srotolato in campo uno striscione con i nomi di Bosnia, Croazia e Serbia e l’incasso della gara è andato agli alluvionati).
Il campionato italiano, visto da fuori, che segnali manda?
«Da ragazzino il mio campionato di riferimento era la serie A. Tifavo Milan. C’erano i migliori giocatori, uno spettacolo. La Premier League non era così popolare, aveva un fascino molto minore. Adesso è tutto diverso. La percezione che abbiamo del campionato italiano è negativa. Troppi scandali, stadi vecchi e non all’altezza, poco sicuri. Un peccato. Sinceramente, è questo quello che passa. Anche se il mio amico Miralem mi parla sempre bene della Roma. A proposito: è vero che il City compra Benatia?»
Veramente l’idea sarebbe di riportare i campioni, come Dzeko, in Italia. Non di vendere. Rinnoverà con il City Nessuna speranza per Inter, Milan, Roma o Juve?
«Il City è una grande squadra, abbiamo appena vinto la Premier, vogliamo fare meglio nella prossima Champions. Però ho sempre pensato che sarebbe bello fare un’esperienza in Italia. Quando non lo so».
Ma se prima dobbiamo costruire stadi e migliorare la cultura sportiva, Dzeko arriverà da noi a 50 anni...
«Non ha fiducia che le cose possano cambiare? Anch’io non avrei mai pensato di giocare al Maracanà...».
Non lo pensava neppure il dirigente dello Zeljeznicar, la sua prima squadra, che quando lei fu venduto per 25.000 euro al Teplice, Repubblica Ceca, disse: abbiamo vinto la lotteria.
«Ognuno ha la sua idea. Per me era fondamentale andare via da un posto dove giocavo poco».
Mourinho l’ha eletta miglior giocatore della Premier 2014.
«Tutti parlano di calcio, non tutti capiscono il calcio. Mi tengo il giudizio di Mourinho».
Chi vince il Mondiale?
«Quattro favorite: Brasile, Spagna, Argentina e Germania».
La Bosnia?
«Sarebbe bello passare il girone. E poi...».
L’Italia?
«Va bene se ci incontriamo in semifinale? ».