CORSERA (L. VALDISERRI) - A inizio stagione, ereditando da Aurelio Andreazzoli le ceneri di una Roma sconfitta dalla Lazio nella finale di Coppa Italia, Rudi Garcia fissò un obiettivo minimo: riportare la squadra in Europa. Il sottinteso era League. Ieri, battendo la Fiorentina (vittoria numero 25 del campionato e numero 11 in trasferta), la Roma si è aritmeticamente qualificata per i gironi di Champions League. Il secondo posto non è più attaccabile dal Napoli. Un risultato straordinario, che Garcia deve dividere con una società che lo ha supportato e che, prossimamente, deve allungargli il contratto. Sarebbe un grave errore non dare continuità a questa guida tecnica, anche se il direttore generale, Mauro Baldissoni, ci ha tenuto a sottolineare i meriti della «squadra invisibile», quella dei dirigenti: «Non bisogna credere all’uomo della provvidenza, questa Roma non nasce solo da Brunico. Un allenatore è importantissimo, ma questo allenatore ha anche beneficiato di giocatori importanti, della voglia di rivalsa e della forza di una società che sta facendo cose importanti. La Roma c’era prima e ci sarà anche dopo, indipendentemente da Garcia, che comunque vogliamo tenere a lungo». Discorso condivisibile. Ancor più nella parte finale.
La Roma, per mesi, ha tenuto in vita il campionato dominato da una Juve pronta a battere qualsiasi record. Solo chi non capisce di pallone, chi è in malafede o chi è negativo per natura può recriminare perché ieri i bianconeri sono rimasti a +8 e hanno messo in cassaforte il terzo scudetto consecutivo, con un tempismo che servirà loro per provare a vincere anche l’Europa League. La Roma è all’inizio di un cammino importante. E lo sarà ancora di più se la piazza si toglierà di dosso una certa superficialità nei giudizi sui calciatori: il Ljajic visto ieri, ad esempio, vale tre Iturbe. Fiorentina-Roma, come era facile prevedere, è stata una partita piacevole. La Roma è andata in vantaggio con una straordinaria iniziativa di Ljajic, che ha attirato su di sé tre avversari per poi smarcare Nainggolan: perfetto il tempo di inserimento del belga e il tocco in scivolata per anticipare Tomovic. Ljajic aveva fatto altrettanto bene a inizio gara, quando aveva messo Gervinho solo davanti al portiere per un tiro ancor più facile di quello di Nainggolan.
L’errore dell’ivoriano è sembrato incomprensibile solo a chi non conosce la sua straordinaria capacità di inventarsi gol dal nulla e sbagliarne altri che sembrano già fatti. La Fiorentina non è rimasta a guardare, schierata da Montella con un 4-3-1-2 (Ilicic trequartista), pronto a trasformarsi in 4-3-3 in fase difensiva per portare un pressing alto sulla difesa romanista e non far partire l’azione con facilità da De Rossi o Pjanic. Un modulo studiato anche e soprattutto in previsione della finale di Coppa Italia (3 maggio, contro il Napoli), in cui non avrà a disposizione lo squalificato Cuadrado ma conta di recuperare almeno uno tra Mario Gomez e Pepito Rossi, ieri nemmeno in panchina. L’insostenibile leggerezza dell’attacco è il particolare che ha fatto scontrare ancora una volta Vincenzo Montella con il suo passato: sulla panchina della Fiorentina ha perduto cinque partite su cinque contro la Roma. I tifosi viola hanno molto protestato per un fallo di mano di Totti, nel finale del primo tempo, su punizione battuta da Ilicic dalla fascia destra. Un contatto che poteva essere fischiato come no. Il problema vero è che l’arbitro Mazzoleni, quello che in passato diede del «lamentino» a Montella, non era certo l’arbitro giusto per questa partita e lo ha confermato fischiando tanto ma spesso male. Al di là dell’episodio.