LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - Tutto a posto, il derby è salvo e la giustizia sportiva è spacciata. Le curve tornano piene, l'ordine pubblico smetted i tremare, ma le norme sulla cosiddetta discriminazione territoriale possiamo usarle per accendere il camino
Riassumendo: c'era una regola, non piaceva, è stata cambiata, però adesso è anche peggio: perché le sanzioni durano un giorno o due, giusto il tempo di un ricorso con la foglia di fico degli «ulteriori approfondimenti». La realtà èche una curva non si può proprio chiudere, a meno che la cosa non riguardi partite normali, tipo Juve-Udinese o Juve-Sassuolo, dove comunque le curve proprio chiuse non erano, vista la presenza dei bambini, finita con la beffa della multa per le parolacce. Ma se si tratta del derby di San Siro, scatta l'allarme interplanetario.
Adesso, la norma già modificata a campionato in corso (un'aberrazione) per colpa di ricatti ultrà e pressioni dei club che più contano, è di fatto inapplicabile o comunque inapplicata. Col risultato di una memorabile figuraccia internazionale. Perché il nostro calcio aveva provato a fare la voce grossa, aveva deciso di essere duro e severissimo, salvo mostrare il solito cuore di burro. Dalla voce grossa è uscito un mezzo sospiro, una debole pemacchia per non dire di peggio. Questo carnevale natalizio fuori stagione ha almeno il pregio di svelare l'inutilità della tessera del tifoso. Nel dispositivo delle sentenze, infatti, c'è scritto che non esiste certezza su chi fossero e dove fossero davvero i tifosi razzisti, pardòn, discriminatori territoriali. Prima si schedano le persone, poi non si riescono a identificare. Ridicolo.