Totti e Del Piero cavalieri di un altro calcio

09/11/2013 alle 10:16.

IL ROMANISTA (M. BIANCHINI) - «Io e Francesco Totti siamo gli ultimi testimoni di un calcio romantico». Le parole pronunciate da Alex Del Piero sono rimaste confuse fra l’indifferenza dei nostri tempi in cui imperano Facebook, Twitter e altre novità comunicative

Non è facile coniugare le due espressioni che hanno segnato l’esistenza di e Del Piero. Essi ci sono riusciti pur attraverso percorsi diseguali, riconducibili al comune traguardo della devozione. Conosciamo a memoria la storia del nostro , della sua fedeltà alla maglia giallorossa e degli spaccati di vita che toccano il cuore. Il nome di Francesco ha il potere di riunire insieme gli impulsi di fratellanza e di amicizia che hanno fatto sorgere spontaneo fra la gente romanista il grido cadenzato: "Un capitano, c’è solo un capitano". Anche domani tornerà ad elevarsi alto e solenne come omaggio augurale di un pronto ritorno. Le stesse note imitatrici indirizzate ad Alex, sono risuonate per anni nella fredda Torino bianconera. Ma qui siamo al bivio di strade che hanno fatto la differenza. Non ha potuto fare a meno di sottolinearla lo stesso quando ha dichiarato: «Del Piero non ha ricevuto dalla la riconoscenza che avrebbe meritato». Ripetutamente infatti, al giocatore bianconero sono stati riservati i sorrisetti dell’ipocrisia, contentini per giustificare assurde apparizioni all’ultimo minuto di gioco, avvilenti attese in panchina fino al fischio finale, “scaricamenti” annunciati pubblicamente dal suo presidente. Lui sempre sereno, disponibile, paziente, ha finito per costituire uno scomodo muro di gomma su cui sono rimbalzate le meschinità della , più vecchia che signora, causa di sconcerto pure fra fedelissimi e avversari. Pur esiliato, dalla lontana Australia egli ha continuato a tessere le lodi del suo primo amore.

Per altri versi, ha fatto risaltare lo stesso splendore morale che ha consentito anche a lui di approdare alla sponda della medesima passione. romanista non ha conosciuto sgarbi, se si eccettua la paradossale parentesi di Carlos Bianchi. Ma in assenza di angherie come quelle propinate a Del Piero, il condottiero giallorosso ha saputo fronteggiare e sconfiggere pure lui un avversario altrettanto difficile, identificato nelle sirene della tentazione che avrebbero potuto separarlo dalla Roma. Ricchi e famosi club europei sarebbero stati disposti ad offrirgli carta bianca, puntualmente respinta al mittente. Ha prevalso il calore della famiglia romanista di cui non ha potuto godere lo sfortunato collega juventino, relegato nell’angolo dove è rimasto inutilmente in attesa di un uguale fervore. e Del Piero, combattenti di nemici vestiti di abiti diversi, ma parimenti agguerriti e spocchiosi, da sfidare le lusinghe del danaro e una pazienza infinita. Molti avrebbero deposto le armi. Ma non i cavalieri dell’amore, sentimento raro nel mondo del calcio celato dietro l’alibi del professionismo. Non è obbligatorio voler bene al proprio mestiere. Secondo prassi comune, i due campioni hanno dimostrato gratitudine verso i loro datori di lavoro. Però, se gli scarpini della fatica oltre a provocare gioia sugli spalti, nonostante tutto diventano immacolati esempi di fedeltà imperitura alla maglia e al cuore della gente, riesce impossibile sottrarsi al canto di ammirazione verso gli "ultimi testimoni di un calcio romantico che non c’è più".