Il calcio ostaggio

12/11/2013 alle 09:46.

LA REPUBBLICA (G. FOSCHINI/M. MENSURATI) - C’è una storia che tutti i calciatori conoscono, se hanno giocato almeno una stagione nei campi della Campania: la storia dell’arbitro di San Giuseppe Vesuviano, impiccato alla traversa. Erano gli anni ‘50 e pare che non avesse fischiato

LA FARSA A sentire gli investigatori quello che è accaduto domenica a Salerno c’entra poco con la criminalità organizzata e molto di più con quella diffusa. Non ci si è mossi per denaro ma solo per campanile. I tifosi della Nocerina tenevano troppo a quella partita per non potervi partecipare, come aveva invece deciso la Federazione. E allora hanno fatto capire ai calciatori, più con le buone che con le cattive, che sarebbe stato meglio non scendere in campo. Per solidarietà. È un fatto che la curva della Nocerina è infiltrata dalla camorra e che una parte di essa controlla il mercato della spaccio. Ed è un fatto che qualche mese fa è stato arrestato (appalti truccati) il presidente, che per questo si è dovuto dimettere: Giovanni Citarella. Ma questi due fatti, nella farsa di domenica, sono quasi laterali. Avete presente l’aereo dell’illegalità, quel monoposto giallo che trascinava la scritta: «Striscione X Nocera, gli Ultras»? «Certo non l’hanno pagato i tifosi », osserva un investigatore. Alludendo alla possibilità che lo abbiano fatto direttamente i giocatori, o la società. «Questa è una vicenda molto peggiore rispetto a una “semplice” storia di mafia — dice Cantone — nonostante l’allarme delle forze di Polizia, la Federazione per sciatteria ha inserito nello stesso girone due squadre con un’ostilità del genere, senza essere in grado di gestirla. Il risultato è un’irrecuperabile figuraccia internazionale. Poi c’è la politica che, davanti a tutto questo, gira la testa dall’altra parte».

LE INCHIESTE Le mafie, in questo caso la camorra, della vicenda Nocerina- Salernitana non sono la causa. Sono il presupposto. Gli ultrà fuori controllo, alla fine, non sono che la conseguenza, l’espressione fisica delle ambizioni dei criminali e della distrazione complice della classe dirigente del pallone. Decine di inchieste della magistratura che da Palermo a Roma stanno cercando di mettere a fuoco le relazioni pericolose. Un lavoro solitario, svolto con l’ausilio di strumenti legislativi monchi («nessuno può pensare di affrontare questi temi con i Daspo» dice Cantone). La Direzione nazionale antimafia, e due anni fa anche Libera di don Ciotti, hanno fatto un lavoro specifico per raccontare i collegamenti tra calcio e mafia. «A spingere le organizzazioni sono due motivi: il business e il controllo del territorio » dice Romani. «Per questo hanno due tipi di esigenze: controllare le curve e dunque la squadra. E in alcuni casi avere in mano direttamente le società». Il denaro si fa principalmente con le scommesse sportive: a Bari i tifosi hanno imposto al club, all’epoca in A, di perdere perché avevano scommesse contro. La Camorra (e in particolare i clan D’Alessandro e Di Martino) ha invece deciso di investire direttamente su una società di scommesse (la Intralot).

IL POTERE Il calcio, però, specialmente nelle comunità più piccole, non è questione soltanto di soldi. Ma anche di prestigio. Al matrimonio di un capobastone era seduto in prima fila Salvatore Aronica, calciatore di serie A, all’epoca in Calabria. Le indagini hanno raccontato proprio a , per esempio, di come un difensore (Santacroce) ossequiasse un bossetto locale ai domiciliari portandogli a casa le magliette firmate della squadra. «In alcuni casi — ha raccontato il procuratore aggiunto Giovanni Melillo — abbiamo evidenze di come i giocatori usino la curva per fare pressioni sulla società in coincidenza con le scadenze di contratto». «Negli ultimi campionati — ha spiegato il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, alla Dna — ci siamo accorti come alcune società di Eccellenza avessero direttamente contatti con esponenti della Sacra corona unita». I Coluccia avevano puntato sul Galatina, lo Squinzano era vicino alla famiglia di Zu Peppo Pellegrino, il Taurisano nelle mani del genero di Pippi Calamita. «Il presidente di una squadra non lo fa certo per denaro — spiega il procuratore aggiunto di Reggio, Nicola Gratteri — perché non ci guadagna, ci rimette: lo fa per un’esternazione del potere, si siederà così nella tribuna con il medico, il farmacista, il magistrato. È quello che cerca la mafia ». «Più misterioso è invece il motivo per cui il calcio si lasci controllare in questo modo», dice Cantone. E forse, nella risposta a questa domanda, c’è la strada verso la soluzione del problema.