La causa del caos? Un errore di pigrizia

09/10/2013 alle 12:00.

LIBERO (F. PERUGINI) - «Quer pasticciaccio brutto de via Allegri». La polemica sulle norme anti razzismo si è già trasformata in un romanzo degno di Carlo Emilio Gadda. E mentre la Lega A attacca il Palazzo, la Federcalcio traballa «È utile, opportuna e doverosa una riflessione», ammette con il consueto tempismo Giancarlo Abete



Tutta colpa di un semplice errore di "distrazione" nella ricezione del Codice di disciplina Uefa emanato a maggio. L'articolo 14 punisce infatti i comportamenti discriminatori per «colore della pelle, razza, religione, origine etnica (come nel caso della della curva biancoceleste dopo Lazio-Legia, ndr)». Durissime le pene ad applicazione progressiva: chiusura di un settore, dell'intero stadio, partita persa, penalizzazioni e persino divieto di fare mercato. Il 4 giugno, però, la nuova norma arriva in Figc ed entra nell'articolo 11 del Codice di giustizia sportiva. Per pigrizia o comodità, però, il processo avviene a metà: cambiano le pene - prima c'erano solo delle multe da 20mila euro soggette alle attenuanti (dalla collaborazione alla dissociazione del resto dello stadio) - non i "reati". Le penalizzazioni pesanti vengono così applicate a ogni condotta lesiva «per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero propaganda ideologica vietata dalla legge», secondo il vecchio testo.



Il razzismo finisce così nel calderone dell'inciviltà da stadio, come l'apologia di fascismo o - per assurdo - il maschilismo («motivi di sesso»). E il destino dei club finisce così nelle mani dei collaboratori della Procura federale: da due a quattro persone appostate sotto le curve per segnalare ogni coro. Anche quelli magari non avvertiti in tribuna o alla tv. «Con questa norma le squadre diventano ostaggio degli ultras», attacca Claudio Lotito, presidente della Lazio ma anche consigliere Figc, «quel che dice Platini non è il Vangelo».



«La discriminazione territoriale è presente da tantissimo tempo», ricorda Abete, «è cambiata la gradualità delle norme». Ed è proprio qui il secondo scivolone di via Allegri: il 15 agosto, infatti, in un eccesso di zelo vengono eliminate le attenuanti grazie alla modifica di un altro articolo (il 13). Addio discrezionalità: ogni coro si trasforma in una condanna automatica. Con alcuni paradossi. «Sardo di m...» può diventare un'offesa, ma lo storico e crudele «vi ruberemo il gregge» teoricamente no. Offendere i partenopei non si può, tranne se ci si limita al «noi non siamo napoletani». Così come cantare l'inno d'Italia durante il minuto di silenzio per i morti di Lampedusa allo Stadium non è un comportamento punibile: «Non si può sanzionare chi canta "Fratelli d'Italia"», fanno capire dalla Federazione. Così come nel Paese dei Comuni è impossibile tracciare il confine tra campanilismo becero e «discriminazione territoriale». Immaginate lo scandalo e i provvedimenti dopo uno di quei derby storici tra Udinese e Triestina con gli ululati reciproci «infoibati» e «terremotati». Al solito pasticcio istituzionale, prova a rispondere Giovanni Malagò scaricando le responsabilità sul tifo pulito. Quello più penalizzato: «L'unica soluzione è che il settore dello stadio interessato faccia qualcosa nei confronti di chi penalizza la propria squadra», dice il presidente del Coni. Ma se lo stadio è vuoto come si fa?