IL TEMPO (E. MENGHI) - Zitti tutti, parla lui. De Rossi ha mantenuto la promessa fatta in nazionale e ha messo nero su bianco i tormenti che lhanno accompagnato per tutta lestate, quando ha pensato di dire addio per sempre alla maglia c
Qualcosa di concreto è pure arrivato sulla scrivania di Sabatini, ma era fine agosto e i soldi del Manchester United sono stati rispediti al mittente, perché De Rossi aveva fatto un patto con Garcia. Si erano giurati di restare uniti se lofferta fosse arrivata troppo tardi: «Daniele non solo è un grande giocatore, ma anche un grande uomo. Abbiamo parlato dopo le sue vacanze aveva spiegato il tecnico francese e ci siamo detti che, passata una certa data, si fermava con noi. Siccome è un uomo di parola, sarà con noi per tutta la stagione e sono contento di questo». Ma cè dellaltro dietro al «no» alla tentazione United. Perché, lha detto Capitan Futuro, non era abituato a prendere in considerazione le proposte degli altri club fino a qualche mese fa. Cosè cambiato allora? «Lanno scorso, lo sapete, le cose non sono andate bene. E io voglio che vadano bene per me, ma soprattutto per la Roma. Essere un giocatore della Roma e non mettere tutti daccordo, non far felice i tifosi né la Roma stessa, per me questo era un peso schiacciante».
Ecco perché ha pensato davvero di lasciarsi alle spalle una vita da romanista. Ma poi unimmagine gli ha fatto capolino nella testa e non se nè più andata: «Non potevo pensare che la mia ultima partita con la maglia della Roma fosse quella del 26 maggio. Non riuscivo a mandarlo giù. Potevo andare in qualsiasi squadra del mondo, alzare qualsiasi trofeo, ma pensare che lultimo ricordo sarebbe stato un derby perso in finale sarebbe stata la fine sbagliata».
Ha preferito optare per un nuovo inizio, al fianco dellallenatore che gli ricordava Luis Enrique, ma che si è rivelato quantomeno più efficace: «Con Garcia ho parlato la prima volta al telefono mentre ero in vacanza, per gestire bene i miei giorni. Lho visto molto disponibile, mi vedeva come un giocatore suo mentre tutto il mondo diceva il contrario. Cosa non vera. Però, se leggevi i giornali o i siti, mi davano per fatto, ogni tanto dicevano che ero in qualche città esotica a firmare chissà quale contratto. Lui mi ha trattato come un giocatore che, cosa poi successa, sarebbe rimasto con lui. Mi è piaciuto subito il senso di appartenenza, il parlare del lavoro e della prospettiva di fare una grande annata insieme». Daniele è tornato, è rinato, ma soprattutto è rimasto. E decisiva è stata la partita più brutta giocata con la maglia giallorossa: un meraviglioso paradosso.