TRS (A. CIARDI) - Fino a un quarto di secolo fa era consueto trovare, appese nei bar, spesso all'ingresso, delle gabbie contenenti pappagalli molto più loquaci del Portobello che aveva evidentemente fatto tendenza al punto che i gestori degli esercizi provavano ad attirare gli avventori coi colori variopinti dei pennuti che al
Il luogo comune ripetuto in punta di becco, che nel volgere di pochi anni ha fatto prima ripetere in loop al pappagallo della famiglia degli smemorati "Totti che rinnova a 5 milioni l'anno se dovrebbe da vergogna'", poi (d'altronde è smemorato) "il vero obiettivo degli americani-laziali che stanno a Trigoria è fare fuori il Capitano". C'è poi il pappagallo calunniatore (più sguaiato del pennuto antenato che si limitava a urlare, scusate la ripetizione, "a stronzo!"), che ama svolazzare in contesti prettamente parasportivi, riempendosi il becco di falsità mandate a memoria dopo averle sentite per mesi e mesi (come un tempo accadeva con le cassette da walkman "English for you"), tipo "De Rossi so' tre anni che non gioca, e non fa vita da atleta" (non entriamo nello specifico per evitare di riportare calunnie ben più gravi e vergognose).
L'habitat è una Roma città non più divisa in rioni, quartieri, e borgate ma in contrade, che si sfidano al palio non dell'Assunta ma dell'Assurdo, andando spesso oltre la realtà, nella migliore delle ipotesi atrofizzata perché l'analisi sfocia sempre e comunque nel luogo comune, che diventa tormentone più fastidioso di Assereje o del Pulcino Pio (a proposito di uccelli). Il pappagallo romano raramente contribuisce alla discussione con argomenti nuovi. Perde la Roma? "È corpa de Zeman" o "dei miliardari viziati che boicottano il Maestro". La Roma in due anni non è andata oltre il sesto posto, perdendo anche un derby-finale di Coppa Italia? "Sabatini è della Lazio quindi fa il mercato per farci perdere" oppure "Sabatini non ha colpe, servono tre-quattro-cinque-forsesei anni per vedere i frutti, e poi ricordatevi che coi Sensi fallivamo".
C'è il pappagallo che griderebbe "Osvaldo pezzo di merda" anche se realmente segnasse duecento gol in una stagione, e quello che "quest'anno arriviamo ottavi perché venderanno Pjanic, Lamela, Osvaldo, De Rossi e Borriello", lo stesso che, alla stregua del pappagallo integralista, fino alla settimana prima non voleva sentire ragione, la Roma doveva vendere Pjanic, Lamela, Osvaldo, De Rossi e Borriello, perché "tifiamo solo la maglia". Un circolo vizioso, innescato e causato da una Roma che voleva dare un taglio alle divisioni del passato, sbagliando tutto ciò che poteva essere sbagliato e anche oltre. Pure sotto il profilo dialettico, al punto che gli esperti hanno da almeno un anno certificato l'esistenza del pappagallo americano, che vada come vada ripete in continuazione, fino a irritare e poi sfinire chi lo ascolta, "saremo il club più importante al mondo, vinceremo tutto, la Roma sarà regina" (sì, con una sola G).
A Roma ormai ci si ripete, chiunque è pappagallo, presidenti, dirigenti, calciatori, comunicatori, giornalisti, opinionisti, tifosi, allenatori (notate apparizioni fugaci del pappagallo asturiano, che si muoveva in stormo al grido di "trabajo y sudor" e il ritorno del mitologico pappagallo di Boemia, le cui ripetizioni, e ripetute, sono note in ogni angolo del Paese). A Roma a causa della Roma ci si divide partendo da presupposti più o meno convinti. Il pro a prescindere, fedele nel tempo al consorzio americana più di quanto lo sia carabiniere all'Arma, l'anti a prescindere, quello che rinfaccerebbe la presunta lazialità ai dirigenti anche se la Roma vincesse lo scudetto. È calcio, per carità, c'è di peggio, e di più serio.
I pappagalli sono pure quelli che parlando di politica nel terzo millennio ripetono ancora slogan del Ventennio o da Festa dell'Unità. Normale che ci si divida, ma il vero enorme rischio è l'assuefazione mista a noia, che l'evento sportivo, o la classifica finale, diventino un mero pretesto per permettere ai pappagalli di proporre gli insopportabili motivetti. Occorre che la Roma faccia parlare il campo, dopo due anni di flop totale è necessario. Occorre che chiunque parli di Roma, da chi ne fa parte a chi lo fa per lavoro fino ai tifosi, sposti la discussione su tavoli più stimolanti. Gli slogan vanno bene in pubblicità, i tormentoni al massimo vendono per un'estate, poi diventano detestabili. I pappagalli corrono il rischio di essere più démodé di quelli che negli anni ottanta ti gridavano "a stronzo!" soltanto perché ti azzardavi a varcare la porta di un bar di paese.