CORSPORT (M. EVANGELISTI) - Di tutta lallegra gazzarra davanti ai bastioni di Trigoria non resterà che unimmagine, una lieve esplosione di gioiosa luce negli occhi e giovanile spirito destate: il ricordo del bambino che ballava
Noi siamo qui per amore. Noi siamo la Roma. Rivogliamo indietro la nostra squadra, quella che perdeva solo quando le avevano strappato i denti, chiuso gli occhi. E mai esistita? Se dobbiamo fidarci della nostra memoria sì, almeno come ideale, come mitizzazione di quella concreta banalità che è il calcio. Sono molti gli errori che ieri hanno trascinato la gente sul piazzale e lhanno spinta a sputare insulti contro i giocatori (...). Dal punto di vista razionale, è probabile che le proteste possano essere considerate ingiustificate o esagerate. Non su tutti gli argomenti in ballo, è chiaro. Per esempio è inaccettabile che si siano sbagliati gli allenatori per due anni, che Osvaldo da uomo in fuga diventi magicamente assente giustificato, che la campagna acquisti e i soldi che si spenderanno restino avvolti da una nebbia misericordiosa.
Ma il peccato originale di questa Roma americana consiste nel prendere tutto con una amletica, folle razionalità. Dietro i bastioni non comprendono che qui si sta parlando il linguaggio della passione. Che qui, dallaltra parte, si sta soffrendo per una squadra relegata ai margini della trascurabilità, guardata con sospetto da chi dovrebbe essere orgoglioso della prospettiva di farne parte. Usata e poi scaricata. Uscite di lì, gridava quel bambino con altre parole. Scendete in strada, ballate e cantate con noi. Perché noi siamo la Roma, non i Boston Celtics. E ne siamo irragionevolmente orgogliosi.