Federico può essere Grande

29/06/2013 alle 12:31.

IL ROMANISTA (V. META) - Fosse arrivata in qualsiasi altro giorno, la notizia del suo approdo alla Roma non sarebbe passata sotto silenzio o quasi come invece è successo esattamente due anni fa. Era il 29 giugno 2011 e a Trigoria, dopo sei anni e quattro titoli in bacheca, si consumava l’addio di Andrea Stramaccioni.

Invece la sua esperienza a Roma cominciava dai Giovanissimi Nazionali, categoria che conosceva bene per aver portato i ’96 del alla Nike Cup prima (dove erano stati sconfitti proprio dalla Roma) e poi a un passo dalle final-eight, eliminato negli ottavi dall’Udinese. Bruno Conti lo aveva scelto per il bel gioco espresso dalla sua squadra, oltre che per la giovane età e la fame di successi, che magari gli ricordavano un po’ il primo Strama, pur senza il passato da grande promessa. Di certo ad accomunarli è la giusta dose di ambizione: due anni dopo quell’incrocio ai cancelli di Trigoria, uno commenta in Rai le partite dell’Italia alla Confederations Cup, l’altro si gioca una finale scudetto. Ha i modi da gentiluomo di Stramaccioni e l’ossessione dei dettagli di Montella, eppure per Coppitelli il punto di riferimento vero è sempre il campo. La passione ce l’ha nei cromosomi (il padre Paolo è stato presidente della Lupa Frascati), come Alberto è arrivato alla Roma passando per la Nuova Tor Tre Teste, lasciata il 29 giugno di tre anni fa per il salto nel campionato Giovanissimi Nazionali alla guida del .

Poi la grande occasione nella Roma, di cui è grande tifoso da sempre, una prima stagione con i ’97 perfetta fino alle final-eight, dove ha pagato un girone oggettivamente proibitivo con Inter, Reggina e , e forse anche un pizzico di inesperienza. Ci ha riprovato con i ’98, non ha avuto paura di rimettere in discussione scelte tattiche che sembravano acquisite a un mese dalla partenza per Chianciano e il campo gli ha dato ragione. Gli piace il calcio offensivo (la tentazione pericolosa è sempre il 4- 2-4, provato a lungo lo scorso anno, ma accantonato per le partite importati), «ma per giocare con tanti attaccanti bisogna che la squadra se lo possa permettere, anche in considerazione degli avversari».

Con i suoi ragazzi scherza, parla molto, ma non come un amico perché confodere i ruoli non è da lui. Misurato, disponibile, alle critiche risponde con le spiegazioni, però prima le ascolta. Non gli piace perdere e soprattutto non sopporta le brutte figure (da quando è alla Roma ne ha fatta soltanto una, quando perse 4-0 con la Reggina alle finali dell’anno scorso), cura moltissimo i particolari, dagli schemi su palla inattiva alle rimesse laterali. Adesso fra lui e lo scudetto è rimasta solo l’Inter. «Loro e il Milan sono più forti di tutte, subito dietro veniamo noi», diceva dopo il ritorno degli ottavi con l’Atalanta. Chissà se nel frattempo la sua Roma gli ha fatto cambiare idea