GASPORT (M. L. PEGNA) - La sede della Raptor a New York, il suo hedge fund, è nel cuore del Meat Packing District. Un elegante portone a vetri incastrato fra i computer del negozio Apple e i ravioli del ristorante di Giovanni Rana. La sala riunioni ha il tavolo di legno pregiato e lungo, come lo vedete nei telefilm. Lui è in giacca e senza cravatta: informale. Come la sua prima frase
«Per prepararmi a questo incontro, mi avete fatto perdere ieri la vittoria dei miei Red Sox contro gli odiati Yankees. In verità, mia mamma Angelina mi avrebbe ucciso se avessi disertato il pranzo di Pasqua: 200 ravioli e gnocchi», scherza, ma mica tanto. La partita era di baseball, ma ora la testa è già al derby con la Lazio: «Io vado lì per vincere: del resto, sono ancora imbattuto ». Ride. Ripete spesso che lui e i suoi manager operano in maniera trasparente, che sono solidi finanziariamente e che le cifre di indebitamento di cui si parla non corrispondono a verità. «Cerchiamo 75milioni di euro e cediamo solo quote non operative. Ci aiuta la Morgan Stanley e abbiamo richieste da tutto il mondo, escluso il Sud America e compreso il Marocco. Voglio far entrare in società atleti e personaggi famosi. Anche Kevin Garnett dei miei Celtics voleva investire, ma la Nba glielo ha impedito: già, conflitto dinteressi. Non vi dico le parolacce che ha detto: ci teneva». Ribadisce: «In pochi mesi ho mantenuto tutto quello che avevo detto. Abbiamo accordi con giganti come Disney, Volkswagen e adesso Nike. Pochi club al mondo hanno fatto meglio di noi con gli sponsor». Dice: «Il nostro è un investimento a ventanni, perché progetti del genere richiedono tempo. Roma mica fu fatta in un giorno. Ma tranquilli, con i miei Celtics ho vinto dopo 5 stagioni». Per ora solo slogan. Intanto, racconta la sua versione sul finto sceicco Adnan AdelAref Al Qaddumi Al Shtewi che ha fatto ridere gran parte di umanità: «Si è fatto vivo un terzo interlocutore che ce lo ha raccomandato e ha offerto una somma sostanziosa, per una quota non operativa. Due nostri consulenti ci hanno dato parere favorevole. Siamo andati avanti, ma quando abbiamo presentato il contratto, i soldi non sono mai arrivati. Abbiamo fatto tutte le ricerche possibili: non siamo certo così stupidi. E poi abbiamo perso solo tempo, non denaro».
Che contratto Ha la voce calma e rassicurante, Jim. Soprattutto quando parla della maglia: «Il contratto decennale con Nike è stato un colpo grosso. Partirà dal 2014 e per la prossimastagione ne avremo una fabbricata in casa, come fosse un brand Roma. Con il design ci aiuteranno i tifosi». E poi cè il progetto stadio: «I tempi dovrebbero essere rispettati», batte le nocche sul legno pregiato, lo scongiuro americano. «Nessun problema con i politici. Appuntamento al 2016/17. Anche campi di allenamento, Hall of Fame, Nike Store, ristoranti. Come in America». E a quel punto che si apre largomento Totti. Ci giocherà il capitano a Tor Di Valle? Risatina. «Mal che vada gli regalo i biglietti e lo metto seduto accanto a me. Personalmente, non riesco a pensare di andare a Roma e non trovare Totti in campo. A chi lo paragono in Usa? A Derek Jeter, dei NY Yankees, uno di classe infinita». Che cosa le piace di Roma? «La passione». Aveva promesso la Champions, ma neppure stavolta perde la calma: «Sono soddisfatto dei risultati di Sabatini e Baldini. Siamo in grado di battere chiunque e lo abbiamo dimostrato. Ci manca la continuità». Andreazzoli? «Mi sembra prematuro parlarne. Lunica gara che non mi è piaciuta è quella di sabato ». E va giù duro: «Sembrava che lambiente si fosse rasserenato, poi leggi i giornali e sembra che ci sia caduto il mondo addosso. Non si può ragionare con le emozioni. Ma se battiamo la Lazio?».