Massucci: "Regalerò l'As Roma Away alle mie figlie"

04/04/2013 alle 09:21.

IL ROMANISTA (D. GALLI) - Non sembra davvero il Ministero dell’Interno, quel palazzo dalle porte di legno pesante, le etichette dei funzionari e il sole che filtra a fatica. Le stanze del Cnims, acronimo di Centro nazionale di informazione sulle

"Il Romanista" lo intervista per un giorno speciale. Oggi, anzi da oggi, la Roma mette in vendita una carta per andare in trasferta, perché finora serviva una carta di credito travestita da tessera e c’è chi per questo ha rinunciato alla Roma, all’amore più vero, più puro e profondo, quello che non tradisce per definizione. È il giorno in cui i ragazzi della Sud vanno ad acquistare la As Roma Club Away consapevoli che la libertà si deve conquistare spicchio dopo spicchio, che certi segnali di tolleranza bisogna coglierli e che gli sforzi vanno premiati. Gli sforzi. Quelli della Roma: ha saputo aprire lo spiraglio dell’Osservatorio, che un anno fa chiedeva ai club di semplificare, rinnovare e innovare la tessera del tifoso. Una premessa. Per le curve. Per la Sud. Il linguaggio di Massucci è quello di un agente che da anni tenta di confrontarsi con tutti i mondi possibili. Quello ultras, ma anche quello del tesserato. Ha due meriti. Secondo, è aperto al dialogo. Primo, è romanista.

 

Massucci, è vero che regalerà la As Roma Club Away alle sue figlie?

(il vicepresidente dell’Osservatorio ride, ndr)E questo chi glielo ha detto? Era un’informazione riservata. Mi chiedevano da tempo una tessera. Adesso che è così semplice, lo farò sicuramente.

Perché proprio la Away e non la Privilege, la tessera del tifoso?

Sono due ragazze appassionate dei colori giallorossi (come il padre, ndr). Volevano una tessera che non fosse una carta di credito, perché questa funzione a loro non interessava. E non interessava nemmeno a me, che avrei dovuto caricarci sopra dei soldini. Adesso le accompagnerò a sottoscrivere questa carta studiata nell’interesse del tifoso. È un oggetto rappresentativo del club: non solo le mie figlie, anche i loro amici hanno piacere a portarsi dietro immagini e colori della propria squadra del cuore. È l’essenza del meccanismo di fidelizzazione.

Si può dire che la tessera del tifoso è stato uno sbaglio?

No, è un concetto esatto. È una strada da seguire e che stiamo seguendo. Non è più prorogabile l’impegno delle società sportive nella ricerca dell’interesse dei loro tifosi. Servono contenuti, e quando parlo di contenuti mi riferisco ai servizi, alla capacità di essere attenti alle esigenze e alla sicurezza dei tifosi. Allo stadio ci vanno più tipologie, dall’ultrà al semplice avventore occasionale e ognuna di queste va rispettata. Io credo che i club debbano conoscere, raggiungere e soddisfare tutte le fasce della loro clientela

 Quindi l’obiettivo è la creazione di un database dei tifosi-clienti?

Perché altrimenti la scrematura buoni/cattivi avveniva già con il biglietto nominativo e a maggior ragione adesso con la on line. Per intenderci, un daspato non può sottoscrivere una tessera del tifoso, ma non può e non ha mai potuto

 Quindi l’obiettivo è la creazione di un database dei tifosi-clienti?

Perché altrimenti la scrematura buoni/cattivi avveniva già con il biglietto nominativo e a maggior ragione adesso con la on line. Per intenderci, un daspato non può sottoscrivere una tessera del tifoso, ma non può e non ha mai potuto nemmeno acquistare un tagliando. La fidelizzazione si basa proprio sulla formazione di liste di clienti. Tutte le grandi aziende cercano di averle, per scopi ovviamente commerciali. La differenza, però, è che mentre per una catena di supermercati la fidelizzazione è appunto commerciale, nel calcio è passionale. Che è qualcosa di diverso e, soprattutto, è qualcosa che merita molto più rispetto. I sistemi di fidelizzazione sono la base fondante di questo “customer relationship”, come gli inglesi definiscono le relazioni con il cliente. Alcune società sportive hanno colto questo segnale, altre purtroppo no. In questo senso, il miglior modello di fidelizzazione è quello della .

La ?

Ha realizzato il passaggio fondamentale: lo stadio di proprietà. Che ha un’identità di simbologie, di storia, di appartenenza. Ha un’identità di casa. Questo dimostra che quello della fidelizzazione è un percorso complesso. Non abbiamo mai pensato che la tessera del tifoso avrebbe risolto questa carenza del sistema italiano, ovvero la mancanza di rapporti sani tra i club e le loro tifoserie. Abbiamo sempre pensato che fosse però un passaggio importante. Uno dei passaggi importanti per far sentire sempre più legato il tifoso alla propria squadra, proprio in ossequio a quel fondamentale distinguo tra un’attività meramente commerciale e una fondata sulla passione. Se si leggono le determinazioni dell’Osservatorio, abbiamo sempre enfatizzato questi principi. Primo, l’attività di impresa: ogni società è libera di interpretare le regole poste a fondamento di un gioco, come quello del calcio, che necessita di regole per la sua sicurezza. Secondo, che questa attività sul tifoso non avrebbe mai dovuto essere - mi ripeto - esclusivamente commerciale. Lo abbiamo detto quando gli organi giurisdizionali hanno censurato qualche società sportiva per l’utilizzo della tessera del tifoso come carta di credito. Che di per sé non è illegale, sia chiaro, però non dovrebbe essere lo scopo principale della tessera.

Lei considera la tessera una tappa verso la completa fidelizzazione. Ma le curve dicono: noi nasciamo tifosi, non lo diventiamo in virtù di una carta.

 

Ma io infatti ho detto che bisogna sapersi rivolgere a un novero di tifosi che va dal curvaiolo all’occasionale. È un’operazione difficile che richiede una struttura all’interno del club. Sta parlando del dipartimento del tifo. La Roma ce l’ha già da un anno, è il Centro Servizi. Stiamo crescendo.

Da questa stagione è obbligatorio per le società che operano a livello nazionale, ma c’è ancora molto da fare. Sanzioni però non sono previste.

Non sono previste. Mi piace pensare, tuttavia, che non sia necessario un meccanismo sanzionatorio per far funzionare le cose. La vera sanzione, o il premio, dovrebbe essere la fotografia dello stadio. sempre una frase di Sir Alex Ferguson. Era una partita di cartello, Manchester-Liverpool o qualcosa del genere. Lo United perse e ai giornalisti Ferguson disse: «Sono felice perché anche oggi abbiamo portato 70 mila persone all’Old Trafford». Le grandi sconfitte sono gli spalti vuoti, come lo sono i comportamenti incivili degli spettatori, dei dirigenti, dei calciatori e in assoluto degli addetti ai lavori.

Comportamenti incivili che in trasferta sono proseguiti anche dopo l’introduzione del divieto per i non tesserati

 Vorrei ricordare le parole del nostro amato, stimato, apprezzato capo della Polizia, Antonio Manganelli. All’inizio di questa avventura (la presentazione della tessera del tifoso, ndr), lanciò un monito: «La tessera non è la panacea di tutti i mali. Non pensiamo assolutamente che risolva il problema della violenza negli stadi, però è una tappa importante». Il tesserato non è un soggetto garantito per definizione. È un interlocutore. È una persona con la quale si può lavorare, perché rientra in alcuni parametri di legalità definiti dalla norma.

Per capire. Allora, l’errore della tessera del tifoso è stata la sua deriva commerciale?

No, l’errore è stato nella comunicazione. È passata come schedatura e come strumento commerciale per le società sportive. La storia della schedatura è infondata. Come sanno tutti, anche il nominativo di chi compra un biglietto viene inserito in un database ed è quindi soggetto a controlli. Il timore di una deriva commerciale è stato invece confermato dai fatti. Le iniziative attuali (l’As Roma Club Away, ndr) stanno riportando il meccanismo di fidelizzazione a quelle che erano le progettazioni iniziali.

C’è chi continua a sostenere che non dovrebbe servire una tessera per andare in trasferta.

Noi riteniamo che le trasferte siano un argomento delicato. È necessario un impegno dei club, impegno che si sostanzia attraverso il rilascio di carte come questa (sempre l’As Roma Club Away, ndr).

Per la Home, per la Away. La Roma può essere considerata un esempio?

(esce l’anima romanista di Massucci, ndr) Mi piacerebbe che l’esempio lo diventasse sul campo, innanzitutto. Sicuramente, la Roma è stata molto sensibile alle indicazioni date dall’Osservatorio. La Away è figlia di una serie di suggerimenti condensati un anno fa in una determinazione, dove si auspicava che la prevalenza dell’aspetto commerciale della tessera lasciasse spazio ai meccanismi di semplificazione e all’utilizzo di nuove tecnologie che rendessero la vita più facile ai tifosi. Perché il fatto che le card arrivassero anche dopo un anno oppure si perdessero durante la spedizione, oggettivamente, contrastava con quello che è il principio della fidelizzazione. Perché la fidelizzazione è attenzione e se tu società mi consegni un prodotto dopo due mesi, quale attenzione c’è? È evidente che qualcosa non funziona. Quindi, ben vengano le iniziative come quella della Roma, sempre molto attenta a queste politiche che tentano di riportare la gente allo stadio.

Lotito sostiene di avere inventato lui la Home. Di chi è la primogenitura?

La prima riflessione è stata fatta con la Roma. Poi molti l’hanno condivisa.

Quello che sta facendo la Roma - il voucher, la Home, la Away - può portare a un ravvicinamento tra il Viminale e le curve?

Io credo che il compito del Viminale sia di fare sicurezza. A volte si può fare con atti di "riavvicinamento" con alcune componenti, altre in maniera "impopolare", come è accaduto quando la situazione era drammatica. Adesso questo riavvicinamento, impropriamente detto, è dettato da una fase di sostanziale tranquillità, a livello di incidentistica negli stadi. In realtà la nostra distanza è rimasta immutata, è diverso l’approccio.

Megafoni, tamburi, striscioni. Una loro parziale riammissione agevolerebbe il dialogo con le tifoserie. Furono vietati sei anni fa a seguito della morte a Catania dell’ispettore Raciti. Furono provvedimenti figli dell’emergenza.

Prendemmo quella decisione dopo aver condotto un’indagine a livello internazionale e dopo avere valutato quindi qual era la situazione nei Paesi europei del grande calcio, dove striscioni con certe caratteristiche e bandiere che oscurano la visibilità non sono consentiti. La Uefa si è anche pronunciata contro la vuvuzela.

La vuvuzela è oggettivamente fastidiosa. Cosa c’è invece di male in un megafono col quale si chiamano i cori? Può essere che per una volta sia l’Europa a sbagliare?

Infatti la mia conclusione era proprio questa. Non è detto che quello che succede a livello europeo sia necessariamente la soluzione. Era solo per enfatizzare un metodo di lavoro: ci siamo sempre confrontati a livello internazionale, abbiamo cercato di imparare anche dagli errori degli altri.

Quindi, sei anni dopo?

Sei anni dopo non penso che sia un argomento che abbia priorità rispetto a tanti altri.

Articolo 9 della legge Amato. Sulla carta, una condanna a vita per chi ha ricevuto una diffida ma ha pagato per quell’errore.

Quello che potevamo fare l’abbiamo fatto. Purtroppo, in questo momento storico mi rendo conto che le priorità del legislatore siano altre. Mi auguro che prima o poi si possa rimettere in un binario di legalità adeguata...

Perdoni l’interruzione: non legalità, ma costituzionalità.

Costituzionalità mi sembra un po’ troppo... Quell’articolo viola i principi del nostro ordinamento penale, che a sua volta poggia sulla Costituzione. Diciamo che, certamente, una maggiore logicità della norma aiuterebbe. (...)