Santarini: "De Rossi, lascia stare le critiche. Devi essere orgoglioso"

12/03/2013 alle 09:39.

IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - «Trecento presenze in serie A con la stessa maglia sono tante – dice Sergio Santarini, che quel traguardo, con indosso quegli stessi colori, lo ha ampiamente superato. – Ma anche se a volte gli capita di non rendere al meglio, non deve demoralizzarsi. Ma usare la testa e guardare avanti». Dalla sua Rimini, l’ex

Due storie, la sua e quella di Giacomo Losi, che si sono incrociate: escluso da Herrera, che gli preferì proprio Santarini, giovane promessa, Losi, a 33 anni preferì smettere piuttosto che andare a giocare altrove. Io fui quasi costretto a farlo. Avevo anch’io 33 anni quando la Roma mi fece capire che non rientravo più nei suoi piani. Ma stavo ancora bene fisicamente, e fu così che andai a Catanzaro, dove feci ancora un paio di stagioni, e il primo fu anche uno dei miei migliori campionati. Mi sarebbe piaciuto continuare a giocare all’infinito, anche fino a 40 anni, come è riuscito a tanti, penso a Vierchowod o a Javier Zanetti, e come mi auguro possa riuscire a . Ma non mi divertivo più. Con il Catanzaro si lottava per non retrocedere e le motivazioni, per forza di cose, vennero meno. Peccato, perché in quella Roma di Liedholm, che stava per aprire un ciclo importante, avrei fatto volentieri anche la riserva….

Veniamo a , che raggiunge le 300 presenze, ma spesso alterna prestazioni brillanti ad altre meno felici. Come si spiega un rendimento così incostante? Mi dispiace vedere che a volte non rende come ci si aspetterebbe, anche perché sono sempre stato un suo estimatore. Però può succedere che si abbiano dei momenti di defaillance. L’importante, in questi casi, è non mollare. Non scoraggiarsi. Un po’ perché non ha ancora compiuto trent’anni, e quindi è ancora giovane, e poi perché l’annata storta ci può sempre stare, soprattutto dopo tanti anni giocati a certi livelli. Daniele è un grande giocatore, un leader, uno che può giocare in tutti ruoli perché ha la qualità e le doti tecniche per fare tutto in campo.

Un problema di scarsa condizione o, come si è detto a volte, di ruolo? La posizione non c’entra. I grandi giocatori devono e possono giocare sempre. E poi, le cose le aggiusta il campo. Non si aggiustano alla lavagna. Questo per dire che io non credo agli schemi. Gli schemi li fanno i giocatori, che capiscono come sono fatti i propri compagni, e quali sono le loro caratteristiche. È da lì, semmai, che vengono. Tutti noi che siamo cresciuti con Liedholm – e chi non l’ha avuto, ha perso tanto – sappiamo che servono relativamente. Di certo, non ne eravamo schiavi. Con lui, semplicemente, giocavamo. Sempre. È così che imparavamo a conoscerci, l’un l’altro. Con i nostri pregi e i nostri difetti. Ed è solo così che quando si entrava in campo si era, a tutti gli effetti, una squadra. Quanto a Daniele, penso che in certi momenti si debba adoperare il cervello. Perché se ci si fa trasportare da certe situazioni, il rendimento ne risente. Daniele è uno che la testa ce l’ha. E allora, gli dico di non pensare alle critiche ed essere invece fiero, come so che certamente è, delle sue 300 partite giocate fin qui con la Roma.