IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Alle critiche per le note simpatie laziali è abituato da tempo. Da quelle scherzose di Bruno Conti - che lo invitò a togliersi laquilotto che aveva al collo prima di scendere in campo per una partita tra bambini, il giorno del secondo scudetto giallorosso - a quelle ben più fastidiose di qualche anno fa,
E poco importa se Roberto Muzzi ha varcato i cancelli del Fulvio Bernardini che aveva 13 anni per andare via a 23, ci è tornato nel 2009 per allenare gli Esordienti (e poi i Giovanissimi Fascia B Elite, classe99) e ha due figli nelle giovanili della Roma: Nicholas, 16 anni (gioca negli allievi) e Ramon, 14, (milita nei Giovanissimi).
Il passato è tornato a bussare in un momento difficile per la Roma ma felice e inaspettato per quello che oramai è diventato un uomo di 41 anni. La scelta di Andreazzoli di averlo come vice - avallata e condivisa da Sabatini - è stata dettata dallottimo lavoro che Muzzi ha portato avanti a Trigoria, dalla preparazione a livello tecnico (dopo aver smesso di giocare, ha girato l'Europa a studiare calcio e metodologie di allenamento) e da un particolare di non poco conto.
FEDELE AL 4-2-3-1 - Il nuovo vice dell'ex tattico di Spalletti, infatti, adotta lo stesso 4-2-3-1 che ha reso grande il tecnico toscano, per il quale la stima è pressoché scontata: «Di allenatori bravi nella mia carriera ne ho avuti ma insieme a Mazzone, Luciano è certamente quello più importante ricordava qualche tempo fa - Sinora ho cercato di insegnare ai miei ragazzi quello che queste due grandi figure professionali hanno dato a me».
A livello tattico, ha poi seguito i dettami di Spalletti con i due mediani davanti alla difesa e tre giocatori di fantasia alle spalle del centravanti. Squadra propositiva, quindi, con i terzini chiamati a salire, nel segno tracciato dalla filosofia del club legata alle giovanili. A Trigoria, infatti, non vige nessuna imposizione sul modulo da adottare purché si attui un calcio propositivo e ci si diverta: «Per prima cosa voglio che i ragazzi si divertano perché alla fine quello che fanno è un gioco e questo deve restare».