IL ROMANISTA (S. ROMITA / C. ZUCCHELLI) - Davanti agli occhi dei romanisti, calciatori e tifosi, cè ancora la nebbia di Verona. Perdere in quel modo fa male e crea nervosismo. Il furto subdolo è meno digeribile di quello conclamato, spavaldo e illuminato dai riflettori. Siamo certamente abituati alle ingiustizie e agli errori arbitrali. Ma mai come in questo campionato
Lingresso di De Rossi dalla panchina poi è stata una spolverata di zucchero a velo amaro sul Pandoro già bruciato nel forno. Insomma una giornata no. Di quelle che durano per tutto il viaggio di ritorno. E lumore dei giocatori è stato tangibile anche da parte dei tifosi presenti allaeroporto nella lunga attesa prima dellimbarco per Roma. Sparsi nei negozi a "gironzolare" per perdere tempo tra un caffè e un profumo, tra un pensiero di Natale e una vetrina di cellulari nuovi di zecca, i campioni giallorossi hanno mugugnato e in maniera anche sorprendente hanno accettato di scambiare qualche parola con i giornalisti presenti. Come ha fatto Daniele De Rossi alle prese con la ricerca di un pc momentaneamente smarrito, sereno e sorridente nonostante di motivi per essere sereno e sorridente, motivi professionali sintende, ce ne siano ben pochi. È partito dalla panchina per la seconda volta di fila in campionato (nonostante Zeman sabato a Trigoria avesse detto di averlo visto bene sia di testa che di fisico in settimana), è entrato al posto di Bradley negli ultimi 20, è stato costretto a giocare da difensore centrale per via dellinfortunio di Marquinhos e ha assistito alle decisioni di Bergonzi di cui abbiamo detto già tutto. Ieri Prandelli ha detto che Daniele non è contento, lo aveva già fatto Baldini nel post partita e, in fondo, non cera neanche bisogno che lo certificassero loro. Quale giocatore è contento di non giocare? Quale giocatore, che negli ultimi 6 anni (almeno) è stato uno dei leader di una squadra, accetta di buon grado la panchina? Nessuno. Tantomeno Daniele De Rossi. Che in questo è un giocatore assolutamente normale. Non lo è in campo, non lo è mai stato in questi anni, anche se adesso magari fa più fatica a dimostrarlo. A Verona era convinto di giocare, la formazione annunciata da Zeman negli spogliatoi del Bentegodi per lui è stata una doccia fredda. Più fredda del gelo che cera allo stadio. Nonostante questo però Daniele ancora non parla. Glielo chiedono, lui preferisce il silenzio. Sorride, nellaeroporto dedicato a Catullo. Poi sale sul volo coi compagni (tranne Osvaldo, corso a Firenze dalla figlia appena nata), arriva a Roma intorno alle otto e un quarto, saluta tutti e se ne va. Coi suoi pensieri che si perdono nella notte.