CORSPORT (F. MELLI) - Sta per arrivare un derby arroventato dentro il raccordo anulare, dove provocazioni e risposte acide prevalgono sui volemose bene. Ha cominciato l'altro ieri Lotito a incendiare l'attesa con riferimenti sarcastici sui misteri della Roma americana, così lontana da Trigoria e dalle tradizioni cittadine portate avanti da finanziatori-responsabili a petto in fuori,
Non c'è trippa per gatti: Lotito implacabile precisa che nessuno gli ha chiesto nulla; e che non se ne parla, troppo tardi, considerando il fallimento dell'iniziativa di pace sollecitata proprio da lui l'anno scorso. Arsenico a volontà mentre da Boston il patron-fantasma James Pallotta benedice semiserio i litiganti: E' tutto buffo, divertente, pittoresco. Pittoresco un corno. E allora che si alzi il sipario, in qualche modo, sulla stracittadina indigesta a un lustro dall'uccisione di Gabriele Sandri.
E' una sfida già caratterizzata undici volte negli anni 90 da Zeman nella doppia veste di guida talebana prima di Cragnotti e poi di Sensi. Il maestro Zdenek, una trama di rughe sulla faccia sapiente da sessantacinquenne, riderebbe beffardo delle nostre fissazioni, dimenticando d'aver spesso portato in scena soprattutto in questi riti particolari peccato e redenzione, diavolo e acquasanta, quasi la sintesi d'una carriera da dottor Jeckyll e mister Hyde (...)
Facile riassumere: uscito dai fasti di Zemanlandia, il boemo scappato dalla repressione della Primavera di Praga, arriva nel mondo biancoceleste per scoperchiare football avveniristico, spettacoli con punteggi tennistici, eliminazioni clamorose. Fino ai derby urticanti che smitizza definendoli partite qualsiasi eguali a tutte le altre. E' un furbo matricolato. Diventa fustigatore dei costumi e insieme una specie di professor Doc, quello di Ritorno al futuro, smascherato nei ricordi postumi di Casiraghi, pronto a confidare per esempio: Superammo in due occasioni la Roma con due rigori e soprattutto applicando in campo alcuni accorgimenti opposti alle sue teorie. Ciò dimostra che Zeman è impastato di teorie-utopie formidabili non sempre applicabili però non cambia (...)
Guardiamo dietro, il bilancio laziale presenta cronologicamente una batosta griffata Mazzone, due vittorie grazie all'accoppiata Casiraghi-Signori, due pareggi. Niente che sconfini nell'epopea, nella piena valorizzazione dei grandi interpreti che gestisce in quei periodi. Signor Vlado, lei ascolta? Presidente Lotito, vogliamo spiegare ai dipendenti che tra poco non saranno giustificabili nell'Olimpico a maggioranza biancoceleste comportamenti da inferiority complex? Lo intuì Eriksson quando rifilò al guru passato all'altra sponda quattro dispiaceri consecutivi in una sola stagione. Poi il balsamo zemaniano d'un 3-3 arraffato in maniera rocambolesca, cui seguì quel tardivo riscatto d'addio: un 3-1, con dedica del giovane Totti proprio agli sgoccioli. I totali evidenziano l'allergia di Sdengo per questo tipo di sfide: 5 sconfitte, 3 soddisfazioni, 3 match pari, 13 gol fatti, 19 subiti. Allora i suoi registi qua e là si chiamavano Winter e Giannini, non Tachtsidis. Oggi chissà... Oggi i laziali ritengono l'allenatore dirimpettaio un'anomalia, una delle variabili cui aggrapparsi per risorgere improvvisamente. Su, coraggio, i numeri parlano chiaro ammesso non basti confidare in Klose e compagnia. Il resto dipende dai satelliti spenti o accesi e dallemacumbe affinché Totti non ripeta le magie che aiutarono l'oracolo di Praga l'11 aprile 1999.