Il derby di Sabatini «Dubbi? Nessuno. Roma è dei romanisti»

09/11/2012 alle 11:48.

GASPORT (M. CECCHINI) - L’aria di casa gli giova. Walter Sabatini si muove a Perugia con la leggerezza di chi sente affluire nelle proprie radici il coraggio dell’intellettuale libero. Non a caso, partecipando alla presentazione del libro «La pausa del calcio» del filosofo Elio Matassi, il d.s. della Roma si muove tra Aristotele e Platone («hanno ormai poco da dirci»), Hegel e Kant («più attuali, grazie alle loro idee di stato-principio contro talento e digressione»), fino ad arrivare al più convincente Socrate («mi piace il so di non sapere») con la stessa apparente



INFORMAZIONE ROMANA A riportare alle malinconie della quotidianità sono le domande del pubblico che, affrontando il calcio come senso di appartenenza, sfociano nel derby imminente. E quando Agnolin dice di vivere ogni partita, anche le stracittadine, «con distacco», il d.s. giallorosso si alza e gli stringe la mano affermando: «Lo vorrei anche io, ma so che domenica non sarà così». Difficile dargli torto, soprattutto quando parla di come l’informazione sportiva a Roma sia «tossica», con i giornali «che enfatizzano perché ormai vivono il dramma di arrivare secondi, terzi o quarti rispetto agli altri», e con le radio locali «dove c’è un trionfo linguistico, una sintassi straordinaria e ovviamente spesso si offende».



ONTOLOGIA DEL TIFO Per questo si capisce come, restando alla filosofia, il d.s. si addentra con cautela nella ontologia del tifoso romanista e laziale, che lui conosce bene avendo vissuto entrambe le sponde. «La Lazio vive anche fisicamente più lontano dalla à e i suoi sostenitori sono dispersi su un territorio più grande. Inutile nasconderlo: Roma è dei romanisti, che hanno un tifo doloroso, passionale, che si tramandano di generazione in generazione, più pronto a ricominciare. Il tifo della Lazio invece ha un tipo di espressione più pessimista». In ogni caso il discorso culturale accomuna Roma all’Italia: «Non c’è la tranquillità di perdere le partite e perciò di fare programmi a lunga scadenza».

Il tifo, insomma, è un fenomeno di difficile gestione. «E noi società abbiamo le mani legate. Avanziamo timide proposte che vengono disattese. Lo stadio è uno spazio chiuso, insulare. I tifosi urlano e contestano perché vogliono essere qualcosa, vanno alla ricerca di una identità, ma è vero che anche noi, come strutture, abbiamo fatto poco per agevolarli». E quando ci si interroga sul fatto che il calcio ha preso il posto delle ideologie, risponde secco: «Perché non esistono più la destra e la sinistra». Qualunquismo ideologico? Di sicuro sul tifo romano ha le idee chiare Agnolin, che fu il primo d.g. dell’era Sensi. «Io ho avuto una macchina bruciata e a Trigoria mi hanno preso a pistolettate. Il senso di appartenenza dovrebbe sottendere tutto — storia, cultura, conoscenza in generale — ma non può prescindere dalle regole».



NIENTE COMPLESSI Impressioni? Conversando col professor Matassi, non mostra alcun senso d’inferiorità del calcio verso la filosofia. «Il calcio è di per sé filosofia, ma anche arte, volontà e follia». Con relativo cambio di idoli. «Una volta si adorava Mozart e ora ? Perché il calcio non è un fenomeno elitario, ma una cosa di cui tutti possono fruire». Proprio come il derby che incombe. Per questo meglio allacciarsi le cinture. Cercando di non avere troppa paura.