GASPORT (M. CECCHINI) - Laria di casa gli giova. Walter Sabatini si muove a Perugia con la leggerezza di chi sente affluire nelle proprie radici il coraggio dellintellettuale libero. Non a caso, partecipando alla presentazione del libro «La pausa del calcio» del filosofo Elio Matassi, il d.s. della Roma si muove tra Aristotele e Platone («hanno ormai poco da dirci»), Hegel e Kant («più attuali, grazie alle loro idee di stato-principio contro talento e digressione»), fino ad arrivare al più convincente Socrate («mi piace il so di non sapere») con la stessa apparente
INFORMAZIONE ROMANA A riportare Sabatini alle malinconie della quotidianità sono le domande del pubblico che, affrontando il calcio come senso di appartenenza, sfociano nel derby imminente. E quando Agnolin dice di vivere ogni partita, anche le stracittadine, «con distacco», il d.s. giallorosso si alza e gli stringe la mano affermando: «Lo vorrei anche io, ma so che domenica non sarà così». Difficile dargli torto, soprattutto quando parla di come linformazione sportiva a Roma sia «tossica», con i giornali «che enfatizzano perché ormai vivono il dramma di arrivare secondi, terzi o quarti rispetto agli altri», e con le radio locali «dove cè un trionfo linguistico, una sintassi straordinaria e ovviamente spesso si offende».
ONTOLOGIA DEL TIFO Per questo si capisce come, restando alla filosofia, il d.s. si addentra con cautela nella ontologia del tifoso romanista e laziale, che lui conosce bene avendo vissuto entrambe le sponde. «La Lazio vive anche fisicamente più lontano dalla città e i suoi sostenitori sono dispersi su un territorio più grande. Inutile nasconderlo: Roma è dei romanisti, che hanno un tifo doloroso, passionale, che si tramandano di generazione in generazione, più pronto a ricominciare. Il tifo della Lazio invece ha un tipo di espressione più pessimista». In ogni caso il discorso culturale accomuna Roma allItalia: «Non cè la tranquillità di perdere le partite e perciò di fare programmi a lunga scadenza».
Il tifo, insomma, è un fenomeno di difficile gestione. «E noi società abbiamo le mani legate. Avanziamo timide proposte che vengono disattese. Lo stadio è uno spazio chiuso, insulare. I tifosi urlano e contestano perché vogliono essere qualcosa, vanno alla ricerca di una identità, ma è vero che anche noi, come strutture, abbiamo fatto poco per agevolarli». E quando ci si interroga sul fatto che il calcio ha preso il posto delle ideologie, Sabatini risponde secco: «Perché non esistono più la destra e la sinistra». Qualunquismo ideologico? Di sicuro sul tifo romano ha le idee chiare Agnolin, che fu il primo d.g. dellera Sensi. «Io ho avuto una macchina bruciata e a Trigoria mi hanno preso a pistolettate. Il senso di appartenenza dovrebbe sottendere tutto storia, cultura, conoscenza in generale ma non può prescindere dalle regole».
NIENTE COMPLESSI Impressioni? Conversando col professor Matassi, Sabatini non mostra alcun senso dinferiorità del calcio verso la filosofia. «Il calcio è di per sé filosofia, ma anche arte, volontà e follia». Con relativo cambio di idoli. «Una volta si adorava Mozart e ora Totti? Perché il calcio non è un fenomeno elitario, ma una cosa di cui tutti possono fruire». Proprio come il derby che incombe. Per questo meglio allacciarsi le cinture. Cercando di non avere troppa paura.