IL TEMPO (A. SERAFINI) - Questioni di credo. O di mentalità. Probabilmente incontrovertibili se si parla in particolare di Zdenek Zeman. L'ultima goccia dello Juventus Stadium ha fatto traboccare il vaso di un inizio di stagione che ha scombussolato la parte romanista della capitale, mettendo in crisi convinzioni e vecchi teoremi legati al ritorno di «Sdengo»
Come Marco Delvecchio: «Rispetto al passato, vedo meno tagli degli esterni d'attacco verso il centro e poche verticalizzazioni. Zeman non è cambiato, magari sono i giocatori che non riescono a mettere in pratica quello che gli viene richiesto durante la settimana di allenamento. Si può anche avere una buona preparazione fisica, ma se manca l'organizzazione di gioco, alla fine non ci fai niente. Noi dopo due settimane di lavoro con il boemo avevamo capito tutto quello che voleva. La partita con la Juventus è l'esempio perfetto». In molti, vedi l'altro ex allievo zemaniano Eusebio Di Francesco ora tecnico del Sassuolo, pensano che sia ancora presto per giudicare: «Sono cambiati uomini e contesto, ma "Sdengo" è sempre lo stesso. Credo che il tempo gli darà ragione e che raccoglierà i frutti del lavoro . Avere tutto e subito è impossibile, e anche se non mi aspettavo una partenza così difficile, sono sicuro che ne uscirà alla grande anche questa volta». La casella dei gol subiti però, continua a riempirsi malamente, un fatto che ricorda molto bene anche Aldair: «A me la Roma piace, vedo la stessa mentalità e propensione d'attacco di quando giocavo con lui. Con quel modulo bisogna avere dinamismo, basta dargli tempo». In mancanza di tempo, le colpe in ogni modo possono essere distribuite, o indirizzate nello specifico.
Come pensa Roberto Rambaudi, uno che il boemo lo ha incrociato alla Lazio: «Io non vedo la mano di Zeman, perché i giocatori non sono funzionali al suo modulo. Mi sembra che la squadra non sia convinta di poter giocare in questa maniera, non vedo in campo gente propositiva. Se Totti e Florenzi sono gli unici che danno il fritto, direi che c'è qualcosa di anomalo. Nessuna delle sue squadre è partita in modo così lento». Anche Damiano Tommasi trova una un'altra chiave di lettura: «Forse molti non ricordano che quando arrivò quindici anni fa non fu altrettanto facile. Abbiamo avuto bisogno di un periodo di assestamento per digerire e percepire completamente il suo gioco. Poi sappiamo bene tutti che Roma è una piazza molto esigente, quindi è inevitabile che le cose all'inizio siano ancora più complicate. Con Capello ho avuto l'onore di vincere uno scudetto, ma io continuo a preferire Zeman. A volte lo stile di gioco diventa un elemento imprenscindibile per il calciatore, soprattutto per i più giovani». E c'è anche chi, alle prime esperienze sulla panchina, lo considera l'esempio per eccellenza. A Carmine Gautieri «la nuova Roma di Zeman piace molto: tanti giovani di talento andrebbero affidati alla guida di un grande maestro. L'unica cosa che le manca è l'esperienza. Negli ultimi tempi mi sono sentito spesso al telefono con lui. La vita ci cambia come le esperienze che maturiamo tutti i giorni, non solo nell'attività professionale e il suo lavoro è sempre stato lo stesso. Zeman è il mio punto di riferimento perché è quello che mi ha insegnato di più, quando parli del 4-3-3, si parla di lui».