Quando il mister boccia il campione

09/10/2012 alle 09:39.

CORSPORT (F. PASTORE) - Castelli di rabbia. Sono quelli in costruzione nelle ultime ore tra Trigoria e Coverciano. Le esclusioni di De Rossi e Osvaldo con l’Atalanta avevano già lasciato il segno, il post partita ha girato il coltello nella piaga. I

GIANNINI-BIANCHI  - La madre di tutte le esclusioni eccellenti dell’era contemporanea. Ad essere messo in discussione è nientepocodimenoche Giuseppe Giannini, regista, capitano e bandiera della Roma di inizio Anni Novanta. In panchina siede Ottavio Bianchi, che alla prima stagione è riuscito a cogliere due insperate finali, in Coppa Italia (vinta) e Coppa Uefa, arrivando a un passo dallo storico bis. Eppure il pubblico non lo ama. In pochi gli perdonano la gestione cinica del finale di carriera di Bruno Conti, lasciato immalinconire in panchina prima dell’addio al calcio. Con Giannini la storia sembra ripetersi, a distanza di pochi mesi. L’aggravante è che si tratta di un giocatore al culmine della parabola agonistica. Il Principe è relegato tra le riserve senza tanti complimenti, non gradisce e lo fa sapere pubblicamente. Ne nasce una polemica con il tecnico lombardo che spacca in due la squadra. La maggior parte dei compagni si schiera con Giannini, la società prende le difese dell’allenatore, che si fa forte fino a degradare il centrocampista, affidando la fascia di capitano a Voeller. A fine stagione però sarà Bianchi a salutare.

 BALBO-ZEMAN - Sull’orlo di una crisi di nervi. E’ la condizione mentale di una squadra che si appresta ad affrontare il Bari dopo l’ennesimo derby andato male, il quarto della stagione. In questa situazione da psicodramma si consuma lo strappo tra Balbo e Zeman, alla sua prima avventura in giallorosso. La Roma è a ridosso della zona Uefa, con un piccolo sforzo potrebbe avvicinarsi anche ai posti utili per la . Senonché l’ennesima allegra (si fa per dire) sbandata della difesa giallorossa costringe Konsel al fallo e al conseguente . Per far entrare il di riserva Chimenti, il boemo sostituisce proprio Balbo, fino a quel momento migliore in campo e tornato a giocare dopo una prolungata esclusione. Quando la lavagnetta luminosa si alza segnalando il suo numero di maglia, l’argentino sbotta e scarica sull’allenatore tutto il veleno accumulato nelle settimane precedenti. L’insulto è di quelli che a Roma, versante giallorosso, tocca l’apice dell’offesa: «Sei un laziale». Il tutto condito da un epiteto sulla madre del tecnico che è facilmente intuibile. Questa volta però è chi siede in panchina ad avere la meglio: a fine stagione l’attaccante si accaserà al Parma.

MONTELLA-CAPELLO - Amici mai. La goccia sul fatidico vaso colmo cade al termine del secondo anno di convivenza (forzata), ma tra Capello e Montella è stata antipatia a prima vista. Il tecnico friulano ha un debole per le punte “di stazza”. Un giocatore come il napoletano non può scaldargli il cuore. E in effetti l’arrivo dell’attaccante tascabile è frutto di una scelta non riconducibile al friulano. Nella prima stagione l’Aeroplanino cerca di piegarne la diffidenza, mette in mostra le sue straordinarie doti tecniche e realizza 18 reti. Ma a fine campionato conterà più sostituzioni che gol. L’antifona non cambia nell’anno che porterà il tricolore. Anzi, se possibile si incancrenisce con l’arrivo di Batistuta, che incarna il prototipo del centravanti capelliano. Ma nel girone di ritorno è proprio un Montella mai così in forma a tenere in vita i sogni scudetto. Entrando quasi sempre a gara in corso. A però, penultima di campionato, spera di diventare attore protagonista di una giornata storica. Nulla da fare. Capello non guarda in faccia nessuno. Soprattutto vede poco lui. Quando decide di farlo, mancano sei minuti. E’ la beffa. Montella apostrofa in malo modo l’allenatore al cospetto delle telecamere e lancia al suo indirizzo una bottiglietta di plastica. Una settimana dopo, nella gara scudetto, sarà titolare. E segnerà.

PANUCCI-CAPELLO - Tu quoque. Tutto può aspettarsi Capello, tranne che a “tradirlo” sia il figlio prediletto. Quel Panucci cresciuto sotto la sua egida al Milan, portato a Madrid e preteso a Roma. Eppure succede anche questo. Stagione 2003-2004: i giallorossi sono in corsa per lo scudetto con il Milan, e Cassano dispensano magie in ogni stadio, ma nel girone di ritorno qualcosa si rompe. Dopo aver dominato la prima parte del torneo, i giallorossi subiscono il sorpasso della squadra di e sembrano mollare la presa. La trattativa per la cessione del club alla Nafta Mosca è naufragata da poco e anche la mascella dell’allenatore appare meno volitiva del solito. La scossa prova a darla in occasione della trasferta di Reggio Calabria, quando stravolge la formazione mandando in panchina anche il suo pupillo. Nel corso della partita però ci ripensa e prepara il cambio. «Christian, tocca te». Nessuna risposta. «Christian, scaldati, tra poco entri». Niente. Panucci non degna il suo mentore di uno sguardo, bofonchiando solo un secco «No» che più eloquente non potrebbe essere. Le telecamere, impietose, riprendono il tecnico mentre allibito chiede: «Anche tu?». Segnale inequivocabile: ha perso il polso della squadra. Due mesi dopo saluterà, diretto a Torino.

PANUCCI-SPALLETTI - Ancora Panucci, ancora . Protagonisti e sfondi che tornano, in questi déjà vu da ira pro nobis tutti romanisti. Questa volta Capello non c’entra, in panchina c’è Spalletti. L’anno è il 2009, non proprio di grazia per i colori della Capitale: infortuni in serie e la credibilità del tecnico crollata ai minimi storici in uno spogliatoio che pure lo ha (in larga parte) amato. La sortita estiva a Parigi ad ascoltare le lusinghe del Chelsea ha lasciato il segno. La squadra sembra sfibrata, le epiche rincorse all’Inter sono un ricordo ormai sfocato, e il tecnico toscano si barcamena come può per tenere viva la stagione. La Roma è attesa da una partita difficile a . Alla volta del Vesuvio si parte in treno e durante la riunione tecnica avviene il “fattaccio”: Spalletti comunica che e Panucci partiranno dalla panchina. Il capitano non fa una piega, il terzino rifiuta e preferisce accomodarsi in tribuna. La Roma vince 3-0, ma al termine della gara si scatena il putiferio. La società multa il giocatore, che a sua volta chiede di essere ceduto, a soli cinque giorni dalla chiusura del mercato invernale. I giallorossi si cautelano con Motta e depennano il nome del savonese dalla lista . Un mese dopo chiederà scusa e sarà reintegrato, ma la sua avventura a Trigoria si chiuderà a fine stagione.

TOTTI-RANIERI - Passo e escludo. Deve pensarlo Ranieri quando nel club (poco) esclusivo spinge di forza anche un monumento come . E’ il secondo anno del tecnico capitolino alla guida della squadra della sua à, lontana parente di quella della stagione precedente. I giallorossi arrancano, tra condizione fisica deficitaria e risultati che definire altalenanti è puro eufemismo. Le prime posizioni sono un miraggio, ma sotto Natale c’è stato un guizzo in casa del Milan. A San Siro le scelte di Ranieri hanno fatto discutere: Borriello e un Adriano in evidente sovrappeso titolari, e Vucinic a guardare. La fortuna aiuta gli audaci, l’importante è non approfittarne. Invece lui persevera e lascia ancora una volta il capitano in panchina nella partita post vacanze a Marassi. Due disattenzioni di Juan regalano il vantaggio alla Sampdoria e Ranieri non batte ciglio fino al 90’, quando sfodera dal cilindro la sostituzione che scatena la bufera. Novello Rivera (6 minuti nella finale dei Mondiali del ‘70), il campione va in campo nei 4’ di recupero, alla faccia della storia (e del rispetto). La Roma esce sconfitta e il tecnico si ritrova nell’inevitabile bufera. La spiegazione nel post partita lascia ancora più perplessi: «Non mi ero accorto che mancasse così poco». Qualche settimana più tardi un’altra trasferta genovese gli risulterà fatale.