Possono essere sequestrati «per equivalente» presso il procuratore sportivo i compensi di atleti professionisti pagati all'estero su conti cifrati e dissimulati sotto la parvenza di contratti di immagine. Lo ha ribadito la Seconda sezione penale della Cassa
L'accusa per il consulente sportivo è di riciclaggio in concorso con l'evasione fiscale degli atleti, raggiunti a loro volta da provvedimenti di sequestro patrimoniale. Secondo il Gip di Padova, firmatario delle ordinanze, il procuratore sportivo è responsabile per aver posto in essere condotte pienamente idonee a ostacolare l'identificazione delle somme provento di evasione fiscale dei ciclisti (reato presupposto) e trasferite in Svizzera, tra cui la simulazione di intestazione nominativa di alcuni conti. A giudizio della difesa del procuratore, invece, l'indagato non aveva mai avuto la disponibilità delle somme provento di evasione, e quindi sarebbe stato imputabile semmai di concorso nel reato fiscale (punito meno severamente).
Quindi secondo questo punto di vista «l'illecito profitto» presupposto del sequestro sarebbe da individuare solo nelle dichiarazioni fiscali infedeli. La Cassazione però, nel solco di precedenti anche recenti (da ultimo n97o/u), ha ribadito che «anche in tema di reati tributari il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere disposto sia per il prezzo sia per il profitto del reato» e «per profitto confiscabile deve intendersi non solo un positivo incremento del patrimonio personale, bensì qualunque vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato anche se consistente in un risparmio di spesa, dovendosi peraltro ricomprendere nella nozione di profitto anche l'elusione del pagamento degli interessi e delle sanzioni amministrative sul debito tributario». Come dire che il profitto è qualsiasi risparmio d'imposta e quindi anche le sanzioni non versate al fisco.