L'UNITA' (L. DE CAROLIS) - In un'intervista al Sole 24ore, il bostoniano James Pallotta, presidente e azionista
Lo ripete sin da quando è sbarcato nella Capitale, preceduto dalla fama di manager con un patrimonio da un miliardo di dollari, per giunta azionista della squadra di basket dei Boston Celtics. Pallotta promette lo scudetto entro cinque anni, cioè subito dopo il materializzarsi dello stadio. Mentre toglierebbe volentieri la Roma dai listini di Borsa (»Sono contrario alle società quotate»). L'ottimismo del manager dovrà fare i conti con tempi burocratici e trattative. Per Tor di Valle, Pallotta dovrà discutere con il costruttore Luca Parnasi, che ha conosciuto quattro giorni fa in una cena a Roma. Per il Gazometro invece il referente è l'Eni, proprietaria dei terreni a pochi passi dal Campo Testaccio, il primo stadio della Roma di Amadei. Dal Testaccio al Senato, il viaggio non è lungo in chilometri. Ma concettualmente c'è un oceano. visto che a Palazzo Madama la legge sugli stadi è incagliata da tempo. Troppo, secondo il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete e quello della Lega Calcio, Maurizio Beretta, che chiedono al Parlamento di fare presto. La legge è all'esame della VII commissione del Senato, che pure aveva già approvato il ddl il 7 ottobre 2009. In seguito però il testo si era bloccato alla Camera, dove è stato stravolto da un diluvio di emendamenti. Alla fine, la commissione Cultura e Sport di Montecitorio l'ha approvato il 12 luglio scorso.
Ma il ddl suscita ancora dubbi, non ingiustificati. Il testo prevede che, oltre allo stadio, sia possibile costruire «ogni altro insediamento ritenuto necessario e inscindibile, purché congruo e proporzionato all'equilibrio economico» e alla «gestione del complesso». Parole che per diversi tra parlamentari e associazioni non scacciano il rischio di speculazioni, con il pretesto dello stadio. Tanto più che il Comune interessato -può prevedere la possibilità di un ampliamento edificatorio delle cubature». Altri nodi, i vincoli sulle aree e, soprattutto, le infrastrutture: a carico dei Comuni, su cui gravano (spesso) bilanci in profondo rosso. Nell'attesa, i tempi del ddl ballano. C'è chi vorrebbe portarlo in aula, saltando il parere sulla commissione. E c'è chi vede "nero" sulla sua approvazione prima di fine legisllatura. Sullo sfondo, un esempio da imitare e una vicenda irrisolta. L'esempio è quello della Juventus, che si è costruita il suo impianto, lo Juventus Stadium, in meno di tre anni. Un gioiellino da 4lmila posti, inaugurato nel settembre 2011, con benefici immediati sul bilancio del club: 24,2% sui ricavi e perdite dimezzate.
La questione aperta è invece quella di Cagliari, con la guerra di nervi tra la società di Cellino e il Comune sullo stadio Is Arenas, a Quartu Sant'Elena. Alla fine, il patron è riuscito a farne la sede delle partite interne del Cagliari, al posto del Sant'Elia. Ma l'impianto non è ancora a norma, almeno secondo la prefettura, che per Cagliari-Roma del 23 settembre aveva imposto le porte chiuse. Sul suo sito, il Cagliari aveva invitato ugualmente abbonati e tifosi a recarsi allo stadio. E per il club sono stati guai: partita cancellata, vittoria a tavolino alla Roma (ma pende un ricorso) e censure in quantità per Cellino. Nell'Italia degli stadi: ipotetici.