La ricostruzione di un amore

08/10/2012 alle 10:55.

IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - Ok, prima bisogna scrivere della partita: analisi di Roma-Atalanta 2-0, 7 ottobre 2012, VII giornata di campionato. Svolgimento: è evidente che la Roma nella prima mezz’ora giocata male era bloccata dalla paura, da tutti i fantasmi possibili che si porta dietro un po’ da sempre e un po’

C’è la questione , e c’è anche quella Osvaldo. Entrambe fanno pensare un po’ a Luis Enrique: proprio con l’Atalanta non giocò (ormai è un classico) per un ritardo; Osvaldo non giocò a Firenze per il comportamento nello spogliatoio di Udine. Punizioni. Ieri più o meno è stata la stessa cosa visto che non hanno giocato «perché non si sono impegnati durante la settimana». Sarebbe curioso vedere se chi criticò Luis Enrique farà la stessa cosa con Zeman, che sicuramente ha fatto la scelta migliore per la squadra dal suo punto di vista. Invece è già curioso vedere come tutti quei critici di , quelli che da due anni lo massacrano, quelli per cui era già del ma anche del Real e del Foggia, quelli che lo considerano un giocatore normale, da ieri si sono affrettati a sottolineare la questione, il caso, la spinosa gestione.

Ora, non è un giocatore normale ma il più forte centrocampista che c’è, e Zeman lo sa, anche ieri - e ieri l’altro - non lo ha nascosto. La sua buonafede sta - oltre che negli occhi - anche nella stessa gestione di Osvaldo, il giocatore che ritiene più forte dopo , «una bestia», ma se non lo considera pronto non gioca. E’ la normalità, bellezza. Anche qui il parallelismo con Luis Enrique è forte visto che Osvaldo era il pupillo dell’asturiano. poi non è solo un giocatore normale perché è fortissimo, ma perché incarna i valori della Roma, è con quelli che è diventato una bandiera: sicuramente non è contento di quello che è successo, ma proprio perché è diventato grande per il rispetto verso se stesso, i compagni e i colori, sarà il primo a comprendere, anzi a pretendere, di non avere il posto assegnato per diritto naturale.

L’anno scorso dopo Bergamo quando parlò bene di Luis Enrique fece la solita ennesima enorme cosa romanista come soltanto lui sa fare. Per il resto è evidente che Zeman sta costruendo la sua squadra (ed è evidente che questo modo di gestire i più forti sia per farli fortissimi) e che si assume tutte le responsabilità possibile Questo non è solo un bene, ma un valore nel mondo del calcio e in questo mondo in generale. Fine dello svolgimento.

Perché poi c’è la Roma. C’è quello che conta. Perché per chi è tifoso della Roma, 2-0 ieri è stata solo , il 7 ottobre 2012 è diventato un giorno dei nostri cuori. D’altronde è meglio così, è meglio che si debba scrivere dei tre punti, dei casi veri o presunti, degli assist e dei tocchi, perché come fai a scrivere che ieri all’Olimpico Falcao ha raccolto la sciarpa della Roma sotto la Sud, con vicino Aldair che piangeva, mentre Rocca correva verso la gente, la gente della Roma, tenendosi il cuore in un pugno, Pruzzo aveva i lucciconi dentro quegli occhi pudici perché arrivano da Genova ma che amano perdutamente Roma? Come fai a descrivere la sobria elegante nordica eppure nostra compostezza di Losi, vederlo accanto al caschetto bruno di Bruno Conti che ragazzino era sotto quella Curva e sotto quella Curva era ragazzino ancora ieri e ci resterà sempre? Come fai a scrivere che loro stavano sotto la Sud.

Da soli con la . Si sono girati, ci hanno fatto l’amore, si sono guardati, specchiati. Come fai a trovare le parole quando Franco Tancredi ha preso la bandiera col volto di Agostino Di Bartolomei e l’ha sventolata al cielo, a Dio, ai suoi ricordi e ai nostri occhi che l’hanno vissuto e che non lo rivedranno? Le mani di Tancredi non hanno mai portato così in alto la Roma. E Falcao quando ha preso sottobraccio la signora Marisa indicandole che quella bandiera stava per diventare sua, Falcao, che ha insegnato a questa à come muoversi in campo e nella vita, un’azione così bella non l’ha mai costruita. Avevano, avevamo tutti gli occhi troppo belli per non piangere. Perché tutti i sogni di bambino erano veri, perché tutto quello che ci siamo detti di notte e tenuti dentro coltivandolo in questi anni non è svanito, né si è perso, ma è cresciuto. Che siamo stati fortunati. Che dentro ormai ci siamo dati un appuntamento senza dirci niente in ogni occasione e in ogni luogo in cui si potrà rivivere quell’emozione che Dio o chi per lui un giorno ha chiamato Roma. Che ci saremo sempre. Che ci sarà sempre anche chi ieri non c’era, ma che come ieri non è mai stato così presente. Come quel di una Roma che ci ha insegnato a dire ti amo.