REPUBBLICA.IT (A. VOCALELLI) - Comandano dunque Juve, Lazio e Napoli. Con un filo rosso che le unisce. Finiti gli investimenti folli, sono infatti al comando le tre squadre che rispetto allo scorso anno hanno cambiato di meno, non hanno avuto bisogno di rivoluzioni, non sono state costrette a mettere profondamente mano al loro organico.
Chiariamo subito che questa volta non c'entra nulla il calcio di Zeman, per letteratura troppo spregiudicato e rischioso. I tre gol del Bologna sono infatti arrivati a difesa schierata per errori individuali e pasticci in tandem come è accaduto in occasione della rete decisiva. Però anche uno zemaniano convinto ed estremo, non può non pensare - in un momento del genere - che forse il boemo farebbe bene a limitare le sue incursioni dialettiche, che anche in settimana hanno tenuto banco e lo hanno costretto a dire, chiarire, smentire, affondare di nuovo, per la gioia di titolisti comodi, che fanno solo la fatica di dover riportare le sue dichiarazioni. Solo che, è questo il retropensiero, così si finisce per parlare molto della Roma in chiave politica e pochissimo della Roma in chiave sportiva. Anche le partite finiscono per essere semplicemente degli appuntamenti domenicali, addirittura dei fastidi, o comunque argomenti poco significativi. Invece sarebbe il caso di soffermarsi maggiormente su un reparto, la difesa, che sembra strutturalmente più debole degli altri e bisognerebbe pensare a come ovviare a tutto questo, per consentire alla Roma di essere nelle posizioni di classifica a cui tutti la hanno iscritta.
Insomma, sarebbe un vantaggio per tutti, anche per Zeman, che con Zeman si ricominciasse a parlare finalmente di calcio o almeno anche di calcio. Perché sarà magari più divertente, per gli ascoltatori, sentire le battute a distanza con Conte, ascoltare le critiche (poi ridimensionate) ad Abete, dibattere sulla polemica con Vialli; ma ancora di più sarebbe interessante capire se Piris rischia la bocciatura, Stekelenburg gode della reale e incondizionata fiducia, eccetera eccetera. Un modo tra l'altro per tenere sempre sulla corda la squadra, evitando -come è accaduto stavolta - che qualcuno pensi inconsapevolmente di avere già vinto. Anche perché, e questo è un piccolo consiglio di cui Zeman non ha assolutamente bisogno, è sempre in agguato il plotone d'esecuzione che - di fronte a qualche risultato non troppo soddisfacente - tornerebbe immediatamente a parlare di un perdente di successo, che non cambia mai: nella lingua e nei risultati. Ed invece Zeman non è solo un abile comunicatore, ma soprattutto un allenatore di calcio che intende prendersi una rivincita sul campo. Il suo campo, quello di gioco.