CORSPORT (G. DOTTO) - E' cominciata così, con l'acqua impastata di rabbia e fiele. Umori neri. COnte sotto vetro in tribuna e Zeman in panchina, un lupu, anzi una lupa, a fiutare l'ostilità quasi fisica dello stadio. Finisce, ma era finita dopo venti minuti e forse già negli spogliatoi, nella malinconia più disperante, dove pesavano i
(...) La vera squadra zemaniana aveva strisce bianconere. Un paradosso che stordisce, uccide. La beffa peggiore. Aggressivi e primi su ogni palla. Balzaretti lascia baracca e burattini a nome di tutti noi con febbre alta. De Rossi mediano non nè corpo nè anima. Con Luis Enrique era tutto. Con Zeman è una funzione, forse una finzione, nemmeno così vitale, che si ostina a spedire palle morte in zone morte. Taddei basso, anzi nano, a destra è un debito permanente, non sa difendere, non sa attaccare, la mollezza di chi non sa perchè è lì invece che a casa ad ascoltare una samba di Toquinho.
Questa volta non c'è bisogno di aspettare il secondo tempo per deprimersi. I cambi sono un modesto palliativo dentro una partita già scritta. La sofferenza atroce? Sentire quel pollastro piacione di Mauro pontifiocare che la Roma è "un'accozzaglia di giocatori". Se hanno orgoglio nelle mutande, Totti De Rossi e compagni devono ripartire da qui. E se Zeman si manifesterà come l'ennesimo abbaglio collettivo di tutti noi, di questa tifoseria che il troppo amore porta a sragionare, allora si passi subito ad altro. Zeman dimostri ora o mai più di non essere un feroce equivoco, di avere il controllo della squadra, altrimenti sia il primo a chiamarsi fuori con un nobile harakiri. Un altro anno di accanimento terapeutico alla Luis Enrique, questo no, non lo possiamo sopportare.