REPUBBLICA.IT (A. VOCALELLI) - Diciamolo subito e senza mezzi termini: la Roma ha scritto in casa della Juve una delle pagine più mortificanti e buie della sua storia, almeno della storia dell'ultimo decennio. I Campioni d'Italia, i rivali storici, hanno infatti passeggiato su una squadra che sembrava lì per fare da comparsa, in un confronto che è stato - e questo è inaccettabile per i tifosi della Roma - addirittura improponibile. La Juve ha vinto la partita, schiantando la Roma, in diciannove minuti, tra gli
Ecco, se non è stata Manchester, per la dimensione della sconfitta, quel 7-1 storico, il senso di impotenza è stato però quello. E, ripetiamo, non è accettabile per il pubblico romanista, orgoglioso e dignitoso. La Roma è crollata a Torino e nessuno può chiamarsi fuori dal processo critico. E' sul banco degli imputati Zeman, perché del suo gioco non si è vista traccia: saltava agli occhi solo quella difesa alta, esposta ogni volta ai tagli avversari. Sono sul banco degli imputati i calciatori, che si sono arresi senza mai essere in partita, come se davanti avessero rivali di un'altra categoria. Sono sul banco degli imputati i dirigenti, che devono rispondere delle scelte effettuate nell'ultimo anno e mezzo, di soldi che sono stati spesi senza un riscontro oggettivo e sono responsabili di una rivoluzione che già c'è stata nell'estate scorsa, a dimostrazione di quante scelte fossero già state sbagliate.
Ma soprattutto sul banco degli imputati c'è una proprietà che non esiste, non è presente. Qualsiasi altro club, dal primo all'ultimo in classifica, si interrogherebbe immediatamente su ciò che è successo: interverrebbe appunto la proprietà, per tranquillizzare o per fare la voce grossa, per tenere al riparo i giocatori o per istruire un processo, per confermare e confortare il tecnico o per metterlo sulla graticola. Solo nella Roma questo non accade, non può accadere, perché la proprietà non c'è. E a discutere di ciò che succede sono i dirigenti: sicuramente bravissimi dirigenti, ma comunque dipendenti. E comunque partecipi anche loro di questa mortificazione. Dunque, come può aprire la discussione chi in quota parte dovrebbe essere messo in discussione? E' questo l'errore grave della Roma di oggi, che da un anno e mezzo parla di rivoluzione culturale, di progetto e spiega che non è un assillo vincere. Un boomerang inaccettabile, come se la Roma per blasone, per tradizione, per il pubblico che ha, non dovesse essere per definizione lì a lottare per vincere. Ma gli americani almeno questo lo sanno?