GASPORT (M. CECCHINI) - L'adagio forse è un po' ansiogeno, ma ha la sua ineluttabilità. «Gli esami non finiscono mai», tanto più per chi come i calciatori è condannato inevitabilmente al presente. Perciò, se è vero che stanotte (in Italia) la Roma affronterà El Salvador, prima di archiviare il vittorioso match contro il Liverpool c'è da sottolineare come il (presunto) primo caso dell'estate pare dietro le spalle.
Dopo la partenza dalla panchina, Lamela ha rappresentato il grimaldello utile a concretizzare le occasioni create. Ha messo lo zampino sia nel gol di Bradley sia in quello di Florenzi, ma soprattutto non è parso più un corpo estraneo. Meglio così, perché un avviso ai naviganti dell'universo giallorosso è d'obbligo: Lamela non «può» fallire. Un eventuale flop dell'investimento più oneroso della proprietà statunitense finora (oltre 20 milioni tutto compreso) rischierebbe di riflettersi sul giudizio della dirigenza. Non a caso Erik è un pupillo del d.s. Sabatini, che a volte ha metabolizzato le critiche come una sorta di attacco indiretto al suo operato. Fobie, ovvio. Ma una cosa è certa: Lamela, pur avendo solo 20 anni, sente la responsabilità del prezzo costato. Avrebbe voluto bruciare le tappe, diventare un protagonista, soprattutto segnare di più (gol utili, non malinconici). Tutto questo non è successo però, nonostante la concorrenza agguerrita in attacco, sbaglierebbe a perdere fiducia proprio ora.
Zeman è l'allenatore giusto per esaltarlo. Basterà seguirlo per vedere evaporare i fantasmi.