IL TEMPO (S. MANNUCCI) - Il capitano ha ragione. Fiuta la sòla, perché in quella Roma sparagnina, avventurosa e folle di fine millennio lui cera. E pure Zeman, che vaticinava la verità scrutando le volute del fumo delle sigarette, e beandosi di quellattacco atomico con Delvecchio capocannoniere, faceva spallucce davanti a una difesa che aveva sì Cafu, Candela e Aldair, ma anche Del Moro, Servidei e Wome.
Non arriveranno top-player? Ed eccoci qui con Thactsidis, che avrà pure impressionato il boemo, ma ha un nome da supposta di centrocampo. Bradley? Nel Chievo brillava, ma se non fosse americano sarebbe ancora sotto il balcone dei Capuleti. E poi abbiamo portato in ritiro, con un ritardo abissale sui tempi tecnici e medici, il giovane Dodò, una via di mezzo tra un uccello preistorico estinto e una preda del cocomeraro, con quel ginocchio atrocemente gonfio che si ritrova. E questa è la stessa dirigenza che lanno scorso ci deliziò con i racconti preventivi sullinsuperabile Kjaer e sullinafferrabile Josè Angel.
La dirigenza ammaliata dal tiki-taka vacuo e orizzontale dellasturiano, oggi allo stesso modo abbagliata dalle verticalizzazioni del boemo, una gioia quando attacchi, un calvario quando ti difendi. Sì, con il vecchio Zdenek ci divertiremo come pazzi: partite con punteggi tennistici, e non a caso Totti eleva odi a Federer. Ma il capitano è il primo a voler tutelare lallenatore, oltre che se stesso. Zeman non merita di fare lo scudo spaziale, e neppure il filo di messa a terra di un impianto elettrico precario. Per vincere ci vogliono i campioni, e non è giusto mortificare un poeta comprandogli supposte o uccelli impagliati. I top-player costano, ma fanno la differenza. Lunico che abbiamo in casa, De Rossi, arriverà con le pile scariche, dopo quellEuropeo magnifico ma logorante. Urgono rinforzi veri e solidi: gli americani non ci rifilino patacche.