IL ROMANISTA (M. IZZI) - Riesco ad arrivare al ricordo dello scudetto del 17 giugno 2001 per gradi, ripartendo dal pomeriggio del 10 giugno. Mi ero ammutinato di fronte alla richiesta dei miei amici: «Andiamo a San Giovanni, cè il megaschermo, che festeggiamo insieme». Per lunga esperienza da tifoso romanista avevo ormai abbondantemente maturato un sano orrore per tutti i preparativi di feste
Trentatré giornate in testa alla classifica con un vantaggio a tratti mostruoso, per ritrovarsi allultimo metro della volata con la solita Juventus incollata alle terga. Della mattina del 17 giugno ricordo soprattutto uno striscione meraviglioso, enorme, esposto a Piazza Santa Maria Liberatrice. Diceva: «La Roma siamo noi!». Nei giorni e nelle settimane a venire di striscioni, anche molto belli ne ho visti a decine. Nessuno mi ha colpito e commosso quanto quello. Era allo stesso modo un presagio di vittoria, meglio, la firma su un presagio di vittoria e la reazione splendida al tentativo patetico dei 4 (ma proprio 4) tifosi della Lazio che lanno precedente avevano cercato di festeggiare il proprio scudetto a Piazza Testaccio. Cè poi lo stadio, per una questione che sarebbe lungo e inutile spiegare, arrivai in distinti Nord a 20 dallinizio della partita. Scendendo a Piazza Mancini mi ero ritrovato davanti un ragazzo completamente bardato di biancoceleste... maglia ufficiale, pantaloncini, berretto... con una voce metallica disse: «Tanto lo perdete ». Che ci crediate o no, nessuno gli torse un capello, nessuno lo apostrofò neanche, forse per lo stesso motivo per cui gli indiani Comanche ritenevano sacri ed intoccabili i folli. Ci furono poi i 90 che nella mia memoria sono indimenticabili. Ricordo tutto, a partire dal mare impressionante di bandiere, non avrei mai creduto che potessero entrarne tante in uno stadio. Le facce delle persone sintuivano solamente in quellondeggiare frenetico. Arrivò il primo gol di Totti quindi Montella e Batistuta, poi il terrore sovraumano che provai dopo la prima invasione. Ce ne fu una seconda, quella più devastante e vidi il mio vicino prendere a cazzotti la ringhiera di ferro alla nostra destra. Quando arrivò la fine non me ne resi conto. Continuavo a chiedere: «Ma è finita? Ha fischiato la fine? E uninvasione?». Telefonai a casa per chiedere notizie, mio padre fu drastico: «Aho, ma che te sei bevuto er cervello? Ma non stai allo stadio? Abbiamo vinto lo scudetto!». Una delle gioie più grandi e intense dellAS Roma, un successo che risplende come un sole nella nostra storia.




