IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Lallenamento finisce, i giocatori stanno per rientrare negli spogliatoi. Luis Enrique li chiama, ferma tutti, staff compreso. Chiede qualche minuto di silenzio. Poco distanti Baldini e Sabatini osservano la scena. Sono già stati informati su quello che il tecnico sta per dire. Luis Enrique prende la parola. In italiano, ogni tanto usa qualche termine in spagnolo. Non vola una mosca. I giocatori sono in circolo
E il commento da Trigoria è uno solo: «Siamo tutti tristi». La notizia delladdio di Luis Enrique alla squadra si diffonde nel primo pomeriggio. Si capisce subito dalle facce della squadra a centrocampo. I telefoni del Bernardini diventano incandescenti. Subito dopo laddio del tecnico cè quello altrettanto sentito di Giorgio Rossi nel ristorante. I dirigenti si dedicano al massaggiatore che lascia dopo 55 anni e non parlano. Almeno non ufficialmente. Lo farà oggi probabilmente Franco Baldini mentre domani nella conferenza stampa pre partita sarà Luis Enrique a dire la sua verità. Non si parlerà di Cesena - partita inutile, Totti a parte - ma il tecnico svelerà i motivi di un addio che da qualche settimana si era fatto sempre più probabile. Luis Enrique vive il saluto a Roma e alla Roma come una «sconfitta». Lo ha detto ai giocatori, lo aveva già anticipato ai dirigenti che, invano, hanno tentato di fargli cambiare idea. Senza forzare la mano, perché è chiaro a tutti come sia fatto luomo Luis Enrique. Una volta capito che non cera più nulla da fare Sabatini e, soprattutto, Baldini hanno lasciato che fosse lui a scegliere le modalità delladdio. Luis Enrique voleva, ed è pure logico, parlare prima di tutto alla squadra. Poi, domani, attraverso alla stampa si rivolgerà ai tifosi. Già, la gente. A Riscone il feeling è stato immediato. Non è passato neanche un anno eppure sembra una vita fa: Luis e Llorente che giocano al biliardino, i tifosi che gridano "Falli corre", lui che promette "Trabajo, sudor ma anche bel gioco". Poi la prima crepa, dopo leliminazione dallEuropa League, e poi ancora gli applausi e la fiducia rinnovata. Come in tutte le storie damore cè sempre un punto di non ritorno. Nel bene e nel male. Questanno è stato Roma-Fiorentina. Prima della partita la Champions a un passo. Dopo la partita la delusione e la rabbia della gente per unannata piena solo di amarezze. Le soddisfazioni? No. Nessuno - o quasi - chiedeva i risultati, ma gioco ed entusiasmo sì. Non sono arrivati né luno né laltro. Cè stata la passione - e questo è innegabile - di Luis Enrique e del suo staff. Ma non è bastata. E quindi, per tutti, meglio dirsi addio. Con le dimissioni e un anno di stipendio lasciato sul tavolo. Senza rancore. E con qualche rimpianto.