TMW MAGAZINE - Per lui, tre tonalità: giallo, rosso e azzurro. Leggenda della Roma e della Nazionale del Mundial, con quel 7 sul cotone accarezzato dai capelli. Palla c'è, palla non c'è, il tempo di una parola, tutta attaccata:
Primo ammiccamento, però, dal baseball americano. "Si, vennero a parlarne a casa, ma mio padre disse che ero piccolo e che non sarei andato negli USA. Ero un bravo lanciatore, mancino naturalmente".
Ti appassionava il diamante?
"Da morire. Avevo uno zio che era custode dello Stadio Comunale di Nettuno. Con la scusa di andare a trovare mio cugino ero sempre in campo. Giocando a baseball o come raccattapalle della squadra locale".
Il pallone, appunto.
"Mi piaceva tutto lo sport in generale. Quando giocavo nell'Anzio, sono stato scartato da Bologna e Sanbenedettese. Mi dicevano che ero bravo tecnicamente ma fisicamente non potevo giocare a calcio. Sono stato rifiutato anche dalla Roma di Helenio Herrera, ma dentro di me non m'importava. Tanto giocavo a baseball. Fin quando, in un torneo dei bar, mi vide giocare Tonino Trebiciani, all'epoca secondo allenatore della Roma, ho fatto provino nel '73 e mi hanno preso".
Ti sei sempre divertito nel calcio?
"Sì. Non potrò mai dimenticare quando Nils Liedholm mi portava, da Primavera, agli allenamenti al campo 'Tre Fontane' e prima di un'esercitazione sui fondamentali mi chiamava per far vedere a gente della prima squadra, come De Sisti e Cordova, come si svolgesse. Era un divertimento, mi riusciva naturale, avevo sempre questa voglia di migliorarmi. Lui mi ha insegnato stop di tacco, di stinco, di coscia, d'interno, d'esterno, come facevi a non divertirti?".
Hai amici veri nell'ambiente?
"Vado d'accordo con tutti, quando ci s'incontra con gli ex compagni o avversari sembra ieri. I più stretti sono Carlo Ancelotti e Roberto Pruzzo. Con Carlo dividevamo la camera, eravamo in Nazionale, le famiglie si frequentavano. Con Roby abbiamo condiviso, prima di trovarci alla Roma, l'anno al Genoa, il militare, vivevamo assieme. Amici come uomini prima che come atleti, c'è stima e rispetto. Persone rimaste umili nonostante il successo".
Il compagno e l'avversario più forte incontrato in carriera?
"Per il compagno faccio due nomi. Prima Prohaska, continuità incredibile, non ha sbagliato una palla l'anno con noi. Serietà e professionalità incredibili. Poi Cerezo, aveva allegria, carisma, classe ma correva. L'avversario, quello con cui ho fatto grandi lotte... Claudio Gentile. Un cagnaccio, che sapeva come farmi incazzare, conoscendolo non abboccavo. Lui sì che a volte mi ha messo in seria difficoltà".
L'errore che rifaresti?
"Calcio di rigore col Liverpool. Non sono un rigorista, l'ho sempre fatto però per la causa. Col Torino in due finali di Coppa Italia ho segnato, in Coppa Campioni è andata male. C'era bisogno perché non in molti se la sentivano. Poi il non andare a Napoli. Quando si è innamorati di questa maglia e di questa gente si fanno scelte così. Maradona, quando eravamo capitani, mi abbracciava e mi diceva di raggiungerlo a Napoli. L'anno dopo vinsero Scudetto proprio nel periodo che avevo problemi con Viola per rinnovare il contratto. Davanti a un fenomeno del genere chiunque, peraltro in scadenza, avrebbe tentennato".
Quando capiste che avreste vinto il mondiale di Spagna '82?
"Quando abbiamo passato il primo turno trovammo Argentina e Brasile, gli altri pensavano che saremmo andati a casa, anche dopo i problemi del primo turno. Nonostante la storia del black out con la stampa c'era tanta compattezza, anche se sapevamo che andavamo a incontrare fenomeni veri, eravamo convinti di avere una grande squadra. Al Brasile bastava pareggio o vittoria, sono stati presuntuosi. Da lì abbiamo avuto strada spianata. Possiamo dire di aver battuto tutto il mondo, Polonia, Perù, Camerun, Argentina, Brasile, Germania. Poi ho un aneddoto".
Prego.
"Ricorderò sempre, finito il primo tempo della finale, la reazione di Bearzot con Cabrini, ma non perché aveva sbagliato il rigore, bensì perché era a pezzi. L'ha pompato, insultato, l'ha fatto saltare in aria per spronarlo. Ecco chi era Bearzot nel fare gruppo e motivare".
Sei in mezzo tra il bianco e nero e il colore, tra l'oratorio e la tattica sfrenata: esiste ancora l'essenza del calcio dei tuoi inizi?
"Per niente. Prima c'era passione, attaccamento, sacrificio. Ora girano procuratori, genitori esaltati. Da giovane per andarmi ad allenare prendevo da solo il treno da Nettuno, arrivavo alla Stazione Termini, metropolitana fino alla Magliana, da lì a piedi fino al campo 'Tre Fontane'. La sera avevo paura che mi succedesse qualcosa e cercavo qualcuno di Nettuno per tornare assieme. Oggi quando racconto ai ragazzi delle giovanili il mio passato mi fanno passare per patetico, dicono che sono cambiati i tempi".
Come giudichi l'odierna sovraesposizione mediatica?
"Le televisioni pagano le società che a loro volta hanno bisogno, è un discorso d'interesse. Ora nel pre gara ti fanno vedere le facce, quello che ride, quello che saluta, è un discorso legato al business. Poi penso che nelle trasmissioni tematiche dovrebbe esserci gente di calcio, che insegni. Invece c'è chi fa confusione, che per fare audience alza polveroni".
C'è un giocatore della Roma attuale che ti assomiglia?
"Francesco Totti. Totti è come Bruno Conti per quello che ha fatto nella carriera e nella vita, per il legame a società e città. Francesco come me ha scelto di legarsi ai colori, avrebbe potuto guadagnare molto molto molto di più in altre realtà. Lui ha fatto anzi molto di più per i record che ha battuto e per gli infortuni subiti".
E De Rossi?
"Daniele, rispetto a Francesco, è come se ha iniziato adesso. Deve col tempo dimostrare di arrivare ai livelli dov'è Totti, perché poi sono i numeri quelli che contano. Daniele per adesso lo vediamo attaccato alla società, alla maglia, ai colori. Poi è come se vogliamo parlare di Del Piero della Juventus, personaggi che tuttora ancora dimostrano nei momenti di difficoltà di essere quelli che tirano fuori la squadra da una brutta situazione, che ci tengono perché ce l'hanno dentro, sfoderando professionalità e bravura".
Diba, Conti, Giannini, Totti, De Rossi. Poi?
"Dopo Totti mi aspetto De Rossi. Le cose vanno conquistate, Francesco l'ha fatto con i risultati e con i numeri".
Regalaci una fotografia per questi personaggi. Bearzot?
"Papà".
Di Bartolomei?
"Il capitano".
Presidente Pertini?
"Non basta un aggettivo. Era una persona con umiltà, alla mano, di quei personaggi con la faccia pulita, sapevamo che gli italiani erano in mano a una persona del genere. Italiano vero".
Presidente Viola?
"Fenomeno, per quelle che erano le risorse e per quello che è riuscito a fare".
Presidente Sensi?
"Ho avuto meno rapporti rispetto a Viola, con il quale sono stato anche calciatore, ma lo giudico un padre di famiglia perché di tasca sua ha fatto sacrifici per portare la Roma a grandi livelli, continuando la tradizione del padre ai tempi del campo 'Testaccio'. Unico".
Zoff ?
"Come Diba, stessi caratteri taciturni ma con gli attributi usati nel momento giusto".
Liedholm?
"Maestro in tutto, di vita e di sport. Con la sua tranquillità e signorilità aveva sempre la parola giusta".
Derby?
"Partita sentita, prima e dopo. Direi che mi piacevano più le stracittadine di una volta, con sfottò veri, piuttosto che gli ultimi con i problemi d'ordine fuori dal campo".
Rigori con il Liverpool?
"Silenzio, come quello che c'era quando sono tornato a centrocampo dopo l'errore".
Curva Sud?
"La mia vita".
Totti?
"Fratello, per il rapporto che abbiamo e per i valori che accomunano le nostre famiglie".
De Rossi?
"Gli ho fatto da chioccia, lo presi in uno stage estivo, da attaccante fu trasformato nel ruolo attuale, quasi un figlio, cresciuto nel modo giusto".
Bruno Conti?
"Lo lascio dire agli altri, per quello che ho fatto e che continuo a fare".