GASPORT (S. VERNAZZA) - Il ritorno di Zeman, nell'anno in cui la Juve ha vinto il suo primo scudetto post Calciopoli: a suo modo, un segnale. La coscienza di Zeman: nessuno come lui ha fustigato il nostro calcio col senno di «prima» (con quello di «poi» sono capaci tutti). Il Boemo snocciolava nomi e magagne quando la
Zeman è risorto nella scorsa stagione, nella sua seconda volta a Foggia, quando mancò di un pelo i playoff perla Serie B e dimostrò che il suo fuoco non si era spento. Roba per amatori, però. Zeman bisognava andarlo a cercare col lanternino su satellite e digitale terrestre. L'autunno del patriarca. E invece no. A Pescara un'altra primavera. I «tagli» che affettano le difese, gli attacchi furibondi. Unica differenza, la minor propensione al «tafazzismo»: a 65 anni ha imparato a difendersi quel tanto che basta per non buttarsi via, in alcuni momenti lo abbiamo visto passare al 4-4-2. La saggezza di chi è consapevole di non aver più tempo da sprecare. A Zeman ritrovato dobbiamo riconoscenza per molti motivi. Veder giocare il suo Pescara riconcilia col calcio. E' rassicurante sapere che dietro tanta bellezza non c'è trucco e non c'è inganno. Siamo abbastanza convinti che questa squadra sia una proiezione della Nazionale del futuro: Verratti, Insigne, Immobile, Caprari, Capuano. La meglio gioventù di oggi tirata su da un allenatore abituato a inseguire il domani. Zeman è come l'utopia, si sposta sempre più in là e costringe a muoversi.




