CORSERA (G. PICCARDI) - È morto a 64 anni di tumore, di doping e dellinsostenibile pesantezza dellessere Carlo Petrini nel reparto di oncologia dellospedale di Lucca, a poche curve dalla sua Monticiano (Siena), da dove tutto partì la carriera da calciatore, da allenatore e poi da fustigatore di (mal)costumi propri e altrui ,
La storia dimostrerà che Petrini gestiva meglio il pallone degli affari e degli affetti: fallirà la finanziaria che avrebbe dovuto garantirgli la pensione, si sbricioleranno le famiglie costruite per fame damore, fino alla prova più alta cui un padre che ha abbandonato lItalia per sfuggire a debiti e usurai possa essere sottoposto. Nel 95 il figlio Diego, 19 anni, morente di un tumore al cervello, lancia un appello attraverso i giornali, vuole rivederlo dopo sei anni di anonimato in Francia. Petrini non torna («Ho troppi conti in sospeso in Italia: se rientro mi ammazzano...»), e il senso di colpa comincia a esplodergli dentro insieme alle rime delle poesie che dedicherà a Diego, primo di una serie di libri di denuncia, («Nel fango del dio pallone» raccontò la pratica dilagante del doping con la complicità del sistema- calcio), dinchiesta («Il calciatore suicidato» ha contribuito a riaprire le indagini sulla misteriosa scomparsa del giocatore del Cosenza Donato Bergamini) e dappendice («Lucianone da Monticiano» è uscito questanno), tutti editi da Kaos, lui sempre credibile ma mai troppo creduto, rappresentato più a teatro e al cinema che nei luoghi di discussione pubblica di questo sport avvelenato, che in Carlo Petrini si guardava con disagio come dentro lo specchio della strega: chi è il più malato del reame? Loquace quanto Zeman è ermetico (sullargomento doping), bulimico di critiche e giudizi, attraverso il chiaroscuro di unesistenza nella quale non si è fatto mancare nulla, di Petrini rimane lo sguardo dritto nella telecamera. Mentre sullo sfondo un pallone, per sfuggire a quellanima critica, continua a rotolare